mercoledì 30 aprile 2014

"Il rito autentico, l'educazione, la conversione." : il nuovo editoriale di maggio di Radicati nella Fede.


IL RITO AUTENTICO, L'EDUCAZIONE, 
LA CONVERSIONE.
Editoriale di "Radicati nella fede"
Maggio 2014




  Non c'è nessun fatto puramente esterno a noi che possa garantire il rinnovamento della Chiesa o la rinascita della vita cristiana. 

  Quando parliamo della crisi della fede nei tempi moderni, quando desideriamo il rifiorire della vita cristiana del nostro popolo, dobbiamo avere ben presente che non è possibile affidarci a nessun automatismo garantito da qualcosa che accade solo fuori di noi: la rinascita partirà sempre dal nostro nascere di nuovo alla grazia di Dio. Sì, è dalla conversione personale che dobbiamo sperare il rifiorire della Chiesa tra noi.

   È proprio partendo da un errore di prospettiva che si è pensato di diffondere il cristianesimo a suon di riforme. È stato, crediamo, l'errore degli anni conciliari. Cerchiamo di spiegarci.

   C'era bisogno di un rinnovamento della vita cristiana negli anni ’50 e ’60? Certamente sì. C'era bisogno di una maggiore verità nella vita sacerdotale, nei conventi, nelle associazioni laicali, nelle scuole cattoliche, nelle famiglie? Non facciamo fatica ad ammetterlo: un certo formalismo stava mettendo in pericolo la vita di fede... c'era bisogno di una freschezza data dall'autenticità.

  Ma il grave errore è stato quello di illudersi di trovare l'autenticità e la freschezza della vita cristiana in tutta una serie di riforme, che hanno radicalmente cambiato, se non stravolto, il volto della Chiesa. E non ne è venuto fuori un rinnovamento, una primavera, ma un lungo autunno che ha portato fino all'inverno della fede, inverno che ha ucciso la vita di grazia nei nostri paesi, nelle nostre terre di antica cristianità.

  Ci si è messi a cambiare tutto, a modernizzare la messa e con essa tutti gli altri aspetti della vita cattolica, pensando di fermare così la fuga dalle chiese, con il risultato, ed è sotto gli occhi di tutti, che le chiese hanno terminato di svuotarsi; chi è poi rimasto a frequentarle, non è certamente più autenticamente cattolico degli uomini di un tempo.

  Ne è esempio lampante proprio la riforma della Messa: l'hanno cambiata per renderla meno difficile alla gente, per renderla meno pesante. Ne è nato un rinnovamento? No, ma un impoverimento, uno svuotamento ambiguo di contenuto: è come se lo “ scheletrito” nuovo rito della messa non educasse più, lasciando spazio a tutte le nostre piccole e grandi eresie.

  La strada da percorrere era un'altra, quella di un appassionato lavoro quotidiano per educare le anime a vivere della messa, comprendendone l'inestimabile valore e l'incommensurabile bellezza. Occorrevano preti intelligentemente appassionati, comunità ferventi, capaci di preghiera, studio e sacrificio; occorrevano anime commosse. Ci si è invece affidati alla via ingannevole di una riforma esterna che facilitasse i riti per i preti e per i fedeli... illudendosi che accomodando le cose esterne le anime si convertissero. E tutto è crollato in uno spaventoso impoverimento: per inseguire i fedeli senza fervore, si è banalizzata la messa riducendola quasi a un rito degno di una religione puramente naturale.

  E invece la Chiesa aveva bisogno della santità, e la santità nasce dalla conversione personale.

  Il rito non va cambiato, deve cambiare invece il nostro cuore. Il rito deve essere la roccia sicura su cui posare tutta la nostra vita. Per questo siamo tornati alla Tradizione, per questo custodiamo la “Messa di sempre”. Il rito deve custodire la retta fede, la vera preghiera cattolica, deve metterci nella posizione giusta difronte a Dio: solo così la grazia potrà operare la nostra conversione.

  Sono i santi, commossi per l'opera di Dio, che rinnovano la Chiesa e la vita cristiana, e non i giochi umani dei cambiamenti continui.

  Chi vuole i cambiamenti continui è semplicemente un uomo annoiato; e con gli uomini annoiati in cerca di novità esteriori, fossero anche religiose, non si fa una Chiesa santa.

  Il vero movimento liturgico, quello di Gueranger e di Pio X per intenderci, voleva favorire proprio un'autenticità di preghiera nei sacerdoti e nei fedeli. Voleva che le anime immergendosi nella santa liturgia, pregando veramente con la Chiesa, rinascessero ad una vita cristiana più autentica e intelligente. Invece nel movimento liturgico si operò il tradimento, consumato da chi pensava che facilitare equivalesse ad aiutare a pregare: così non fu, ed è sotto gli occhi di tutti il disastro... i cristiani sanno ormai raramente pregare.

  Nulla di esterno può sostituirsi alla nostra conversione, al sincero fervore personale, all'autentico amore per Cristo. Ma la nostra conversione, operata dalla grazia, scaturirà dalla preghiera della Chiesa che la Tradizione ci ha consegnato, che è la preghiera di Cristo stesso.

  Così è necessario anche per noi che:

  1. si torni alla corretta liturgia secondo la tradizione, perché il tesoro della rivelazione pregata non vada perduto;

  2. che sacerdoti e fedeli intelligentemente commossi diventino autentici missionari, educatori alla preghiera secondo il cuore della Chiesa. Se non ci fosse anche per noi questo secondo punto, cadremmo nello stesso tragico errore dei riformatori conciliari: credere che basti tornare a qualcosa di esteriore (fosse anche la messa antica) perché la vita rinasca.

  Che la Madonna ci aiuti ad essere fedeli al nostro compito.

trasformare la fede in uno spettacolo e in una autocelebrazione non porta da nessuna parte

Il destino amaro della spiritualità in Occidente....
 
Terminata la grande cerimonia della canonizzazione di due papi, riprendiamo insieme ad altri blog un lucido scritto che suonerà a taluni un po' antipatico ma che mette il dito nel grosso problema del nostro mondo cristiano: la spiritualità a cui non viene data esauriente e reale risposta. Il grande spettacolo religioso non è fatto per dare risposte profonde! Il destino della spiritualità in Occidente risulta ancora amaro. Ecco la vera radice della decadenza delle sue forme liturgiche...
____________

di Massimo Fini

Oggi Papa Wojtyla viene beatificato a soli sei anni dalla sua morte. Un caso unico nella storia della Chiesa che in queste faccende è sempre stata tradizionalmente cauta. Il popolo lo voleva 'Santo subito'.

Ma trascorso lo spirito dell'epoca, avido di fretta, di 'eventi', di spettacolo, io credo che Giovanni Paolo II passerà alla storia come il Papa che ha rischiato di distruggere ciò che resta della Chiesa cattolica e del senso del sacro in Occidente. E questo è, in apparenza, doppiamente paradossale. Perchè nessun Pontefice, almeno nel dopoguerra, è stato così popolare come Papa Wojtyla. Non lo è stato il problematico Paolo VI, non lo fu l'ascetico e ieratico Pio XII. Non ebbe il tempo di esserlo Papa Luciani. Solo Giovanni XXIII gli si può forse avvicinare, ma regnò cinque anni mentre Wojtyla in un quarto di secolo ha avuto più tempo per affermare la propria potente personalità. È inoltre paradossale perchè il Papa polacco, nelle sue strutture più intime e profonde, era portatore di valori spirituali forti, antichi, tradizionali, premoderni, addirittura pretridentini e quindi particolarmente adatto a rilanciare la Chiesa in un'epoca in cui, proprio in reazione ad una Modernità trionfante e dilagante che ha fatto terra bruciata del sacro, si fa sentire, prepotente, il bisogno di un ritorno a quei valori religiosi o comunque a dei valori che la società laica non ha saputo dare. Eppure mentre la popolarità di Wojtyla è andata sempre crescendo, fino all'apoteosi della sua esibita agonia e della sua morte, nello stesso tempo, sono crollate le vocazioni (crisi del sacerdozio e degli ordini monacali) e la fede, almeno in Occidente, si è intiepidita fino a ridursi, in molti casi, a una vuota forma. Come si spiega questo duplice paradosso? Con una situazione strutturale della società contemporanea estremamente negativa per il magistero spirituale della Chiesa, che però Papa Wojtyla ha contribuito, in modo notevole, ad aggravare con la sua particolare personalità e anche, e proprio, con i modi e i mezzi con cui ha raggiunto la sua straordinaria popolarità.

In linea generale la crisi della Chiesa in Occidente deriva dal fatto che il mondo industrializzato si è da tempo desacralizzato. Quando Nietzsche a metà dell'Ottocento proclama "la morte di Dio" non fa che constatare che il senso del sacro è morto nella coscienza dell'uomo occidentale. Un mondo che, come il nostro, si organizza intorno alla produzione, al consumo, al mercato di oggetti materiali o mercifica e commercializza anche ciò che è spirituale, che fa dell'economia e della tecnica i suoi punti di assoluto riferimento, togliendo all'uomo quella centralità che aveva invece nel Medioevo europeo e cristiano, non può partorire valori, tanto meno religiosi. La Chiesa però non è stata capace di intercettare le contro spinte che nascevano da questa situazione, le esigenze spirituali che, sia pur ancora minoritarie, si rifacevano vive dopo l'orgia della razionalizzazione. Perchè proprio nel momento in cui era necessario fare il contrario la Chiesa ha preferito seguire l'onda e si è a sua volta mondanizzata. Invece di opporsi ai tempi li ha cavalcati, nella speranza di non perdere del tutto il contatto coi propri fedeli. Questo calcolo si è rivelato sbagliato. Una Chiesa che si mondanizza, che partecipa al dibattito pubblico, sociale e politico vi ha forse qualche influenza e un indubbio ritorno mediatico ma quanto guadagna in pubblicità perde in presa spirituale. Del mondo ne abbiamo fin sopra i capelli e non sentiamo certo il bisogno che a esso si aggiunga e si sovrapponga un Ente che ha come compito istituzionale quello di curare le anime, per chi crede alla loro esistenza. Ecco perchè sempre più spesso in Occidente molti si rivolgono verso le religioni orientali, il buddismo, l'islamismo oppure si lasciano attrarre dai fenomeni di quella che viene chiamata la 'New Age', dall'esoterismo, dalla magia, dall'occultismo, dal satanismo o addirittura dall'astrologia, per cercare di soddisfare in qualche modo, un modo povero, confuso, lontanissimo dalla sapienza e dalla raffinatezza psicologica della Chiesa di Paolo, i bisogni spirituali cui la Chiesa, oggi, modernizzandosi e mondanizzandosi, dà sempre meno risposta. Il pontificato di Giovanni Paolo II ha esasperato questa mondanizzazione della Chiesa. Wojtyla si è occupato troppo di politica e del sociale. È nato come Papa 'politico' con la sua lotta al comunismo e ha proseguito su questa strada proponendosi come uno dei principali mallevadori dell'indipendenza della cattolica Croazia grande, che ha dato origine alla guerra di Bosnia. Sono infinite le occasioni in cui Wojtyla è entrato a piedi uniti in questioni interne dello Stato italiano, dando origine ad un malvezzo che oggi ha raggiunto livelli intollerabili. Per cui in molti lo hanno percepito più come un leader politico che come un padre spirituale.

Bazzicando troppo il mondo Papa Wojtyla ha finito per sposarne, a dispetto del suo tradizionalismo antropologico, anche le convinzioni in campo economico, appiattendosi sul concetto industrialista e prettamente modernista di Sviluppo. Già nell'enciclica Sollecitudo rei socialis, che appartiene ai primi anni del suo pontificato, scriveva:"Quando la Chiesa adempie la sua missione di evangelizzare, dà il suo primo contributo alla soluzione dell'urgente problema dello Sviluppo". E, a guardar bene, anche il suo ecumenismo è perfettamente in linea con la globalizzazione economica e col tentativo di 'reductio ad unum' dell'intero esistente al modello di sviluppo occidentale. È vero che l'idea di progresso appartiene al pensiero giudaico-cristiano, ma per lunghi secoli la Chiesa non aveva mai identificato il Progresso con lo Sviluppo, al quale anzi era stata fieramente avversa se si pensa alla battaglia condotta dalla scuola tomista contro l'economia mercantile.

Ma ciò che ha definitivamente offuscato il messaggio spirituale di Wojtyla è stato l'uso a tappeto, spregiudicato e anche abbondantemente narcisistico, dei mezzi di comunicazione della Modernità (Tv, jet, viaggi spettacolari, creazione di 'eventi', concerti, gesti pubblicitari, 'papamobile', 'papaboys'), per cui se è vero che "il mezzo è il messaggio", come diceva McLuhan, ha finito per confondersi con essa. Quando un Papa partecipa, seppure per telefono, alle trasmissioni di Bruno Vespa si mette inevitabilmente al livello degli ospiti di quel salotto mediatico. Ecco perchè la popolarità personale di Papa Wojtyla ha raggiunto le stelle ma ha lasciato la Chiesa con le gomme a terra, nel deserto del sacro. Ai suoi funerali c'era una folla immensa (come ci sarà oggi alla sua beatificazione), soprattutto di giovani attratti dall''evento', dallo spettacolo, dalle riprese televisive, dalla smania di protagonismo, ma se si entra in una chiesa italiana, ma anche francese, ma anche spagnola, cioè di Paesi tradizionalmente cattolici, in un giorno che non sia la canonica mattina di domenica quando i sepolcri imbiancati del ceto medio vanno a rendere un omaggio formale al culto e alla loro superstizione, si trovano solo quattro vecchiette strapenate, terrorizzate dalla vicinanza della morte, ma di quella folla di giovani non c'è traccia.

Una conferma clamorosa che Giovanni Paolo II avesse una scarsa presa spirituale, in contrasto con la sua enorme popolarità, la si ebbe con la guerra in Iraq contro la quale Wojtyla tuonò più volte, senza per altro riuscire a impedire al cattolicissimo Aznar di parteciparvi. Papa Wojtyla è stato popolare come può esserlo oggi una grande popstar, ma dal punto di vista spirituale la sua parola ha avuto il peso di quella di una popstar, o poco più.

 
pubblicato su Il Fatto Quotidiano
http://www.massimofini.it/2011/wojtyla

martedì 29 aprile 2014

"L’Impero del Male non è russo né americano, ma cosmopolita. Il suo leader risiede negli abissi infernali, da dove rinnova la sua folle sfida alla Chiesa" (prof. Roberto de Mattei)


 
 
Editoriale di Radici Cristiane n. 93 - Aprile 2014    

Vivere come si pensa

Scrive Paul Bourget nel suo romanzo “Il demone meridiano”: «Bisogna vivere come si pensa, se non si vuole finire col pensare come si vive». La vita deve essere coerente con le idee, ma le idee devono essere a loro volta coerenti con i grandi principi e le leggi metafisiche e morali, che regolano la vita umana.

di Roberto de Mattei



E' nota la frase con cui lo scrittore francese Paul Bourget conclude il suo romanzo Il demone meridiano (tradotto in Italia dall’editore Marco Solfanelli): «Bisogna vivere come si pensa, se non si vuole finire col pensare come si vive». Questa frase contiene una profonda verità. L’uomo è inclinato al male dal peccato e per giustificare le cattive azioni che pratica o desidera praticare produce sofismi ed errori intellettuali. Se la vita non si conforma al pensiero, è il pensiero che si conforma alla vita. Ma per vivere bene, occorre prima di tutto pensare bene. La vita deve essere coerente con le idee, ma le idee devono essere a loro volta coerenti con i grandi principi e le leggi metafisiche e morali, che regolano la vita umana. Esistono delle norme dell’agire umano, perché Dio ha dato all’uomo una natura e delle leggi conformi con questa natura. Nell’essere umano sono incise non solo le leggi dell’istinto, comuni agli animali, ma le leggi della conoscenza, che devono governare la sua libertà. Tutti gli esseri umani sono governati da leggi, che hanno le loro radici nell’immutabile volontà di Dio. La legge eterna, che è Dio, è il centro e la sorgente di tutte le leggi. L’uomo ha un’intelligenza e una volontà che devono guidare la sua parte inferiore, quella sensibile, che ha in comune con gli animali. Se così non accade, se l’uomo si lascia guidare dai sensi e dalle passioni, queste finiscono per modificare le idee. Per questo la conoscenza deve regolare la vita umana. Il padre Antonino Eymieu, in un libro dedicato a Il governo di se stesso (tr. it. Desclée, Roma 1913) ha spiegato in maniera eccellente le grandi leggi psicologiche che governano l’anima umana. Le idee muovono gli atti, ma gli atti muovono a loro volta i sentimenti e questi influenzano le idee. Per questo bisogna essere uomini di principi, perché il mondo si regge su princìpi e i princìpi e le leggi su cui si regge il mondo hanno il loro centro e il fondamento in Dio primo principio e prima causa di tutto ciò che esiste. Dio è il principio che da nulla dipende, da cui tutto deriva, a cui tutto ritorna, origine di tutte le cose e loro compimento finale. Ciò che vale per i singoli uomini vale per le società umane e anche per quella società umano-divina che è la Chiesa. La Chiesa è stata fondata da Gesù Cristo per annunciare la sua verità al mondo e convertirlo. Essa ha una dottrina e una legge, assoluta e immutabile, riflesso della Legge eterna, che è Dio. Questa dottrina e questa legge sono contenute nella Sacra Scrittura e nella Tradizione e vengono trasmesse dal Magistero. Neppure uno iota di questi princìpi può essere mutato. Nel corso della storia è capitato che i cristiani, nella loro vita personale, si allontanassero dalle verità e dai precetti della Chiesa. Sono le epoche di decadenza, che esigono una profonda riforma ovvero un ritorno all’osservanza dei princìpi abbandonati. Se così non accade, c’è la tentazione di trasformare i comportamenti immorali in princìpi opposti alle verità cristiane. Nascono così i grandi errori teologici e morali, che, come ha spiegato Plinio Correa de Oliveira in Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, hanno la loro origine nelle tendenze sregolate dell’animo umano. Quando gli uomini non pensano come vivono, adeguano le proprie idee alla loro vita. Questa tentazione è penetrata oggi nella Chiesa e ci viene proposta attraverso la formula della “prassi pastorale”. Significative a questo proposito sono le recenti dichiarazioni del cardinale Walter Kasper in materia di morale coniugale. Poiché «tra la dottrina della Chiesa sul matrimonio e sulla famiglia e le convinzioni vissute di molti cristiani si è creato un abisso», secondo il cardinale bisognerebbe adeguare la dottrina e la disciplina della Chiesa alle situazioni di fatto in cui oggi vivono molti cristiani, a cominciare dai divorziati risposati. Sono i princìpi a doversi adeguare al comportamento dei cristiani e non la loro condotta a conformarsi ai princìpi. Si deve pensare come si vive e non vivere come si pensa. Il criterio ultimo della verità diviene la realtà sociologica. Tutto ciò che accade non deriva da un’opposizione di natura morale tra le forze del Bene e quelle del Male, ma da spinte immanenti alla storia. Così come la vita nasce da impulsi, necessità, istinti, la storia è frutto di esigenze, tensioni, passioni. Da qui l’esigenza di approfondire e riproporre la dottrina cristiana in modo da cogliere “i segni dei tempi”. I segni dei tempi sono quei fenomeni che caratterizzano un’epoca ed attraverso i quali si esprimono i bisogni e le aspirazioni dell’umanità. In altre parole, l’umanità evolve e i princìpi devono accordarsi al processo di trasformazione della società. A questa teologia evolutiva della storia si accompagna una morale evolutiva. Non esistono gli “assoluti morali”. Tutto muta, perché non esiste una natura umana data, né una legge naturale stabile. La dottrina cristiana si dissolve nella prassi. Il Cristianesimo si trasforma in vita senza verità, o meglio in vita che produce la verità nel divenire dell’esperienza: divenire dei singoli e divenire dei popoli. Fin dalla sua nascita il Cristianesimo ha opposto al mondo la verità del Vangelo. Il mondo, secondo la teologia della storia cristiana, è il campo di battaglia tra i fedeli di Cristo e i seguaci di Satana. E Satana è il «principe di questo mondo» (Gv, 12, 31), intendendo il mondo come il complesso di norme e di abitudini che si oppongono al Cristianesimo. La lotta tra lo spirito del Vangelo e quello del mondo durerà fino alla fine dei tempi e ha conosciuto e conoscerà momenti alterni, ma si concluderà con la vittoria finale di Cristo. Vi sono state epoche in cui Cristo ha vinto il mondo, come la Civiltà cristiana medioevale, ma la Rivoluzione francese ha inaugurato un’era in cui il mondo è sembrato prevalere sulla Chiesa. Oggi è la Chiesa stessa che sembra cedere al mondo, nell’illusione di disarmarlo, cessando di combatterlo. Ma in questo scontro mortale, se la Chiesa non lotta per convertire il mondo, è il mondo a convertire e mondanizzare la Chiesa. I primi apostoli opposero al paganesimo la verità del Vangelo, sfidando l’Impero romano. Gli apostoli del nuovo cristianesimo si piegano all’Impero mondialista, ammainando la bandiera della verità. Oggi un impero ben più totalitario di quello romano estende i suoi tentacoli su scala planetaria. Il fumo di Satana ha invaso il Tempio di Dio ed egli si illude di averlo conquistato. Combattendolo, non dobbiamo stancarci di ricordargli che le porte dell’inferno mai prevarranno. (RC n. 93 - Aprile 2014)

 

Tratto da: http://www.radicicristiane.it/fondo.php/id/1968/ref/1/Vivere-come-si-pensa