mercoledì 26 marzo 2014

per amore della Chiesa......

c'è una cosa che non mi convince
Importante premessa su cui si è ovviamente tutti concordi:
  • l'amore per la Chiesa richiede anzitutto amore per la Verità
  • non è amore alla Chiesa quello che richiedesse di addomesticare la Verità
  • può capitare, in certe particolarissime circostanze, che in nome della Verità occorra opporsi all'autorità della Chiesa:

    Lettera ai Gàlati 2,11: «Ma quando Cefa venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto»

    Luca 22,32: «e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli».
  • Anche di Lutero si può dire che agì «per amore della Chiesa», della quale lamentava la corruzione che vedeva.
    Anche di Cavour si può dire che agì «per amore della Chiesa», della quale lamentava le ricchezze e la presenza capillare nella società.

Episodio 1:
  • il passionista p. Enrico Zoffoli (1915-1996) ha pubblicato numerosi libri per documentare con rigore le eresie del Cammino Neocatecumenale.

    Pochi giorni prima di morire riceve la visita di Kiko Argüello, fondatore del Cammino.
    Kiko gli dice: «lei ha scritto quelle cose per amore della Chiesa».

    P. Zoffoli lo corregge immediatamente: «per amore della Verità!»
  • Il sig. Argüello aveva tentato di insinuare che per un ingenuo e sproporzionato "amore per la Chiesa", sarebbe stata distorta la Verità.

Episodio 2:
  • Gnocchi e Palmaro fanno dei rilievi critici a papa Bergoglio («Questo papa non ci piace» e articoli e libro successivi).
  • Il 1° novembre 2013 il papa, avendo saputo della malattia incurabile di Palmaro, gli telefona. La telefonata si conclude così:

    Palmaro: “Santità, forse lei saprà che le ho dedicato alcuni rilievi assai severi. Voglio però confermarle che la mia fedeltà al successore di Pietro resta intatta”.

    Il Pontefice gli rispose: “Penso che abbia scritto per amore verso la Chiesa. E comunque le critiche fanno bene”.
  • L'espressione di cortesia «le critiche fanno bene» non significa automaticamente l'avervi dato ascolto.
  • L'espressione «per amore verso la Chiesa» mi lascia perplesso:
    - era un modo per dire tali critiche sono fondate e perciò hanno fatto bene alla Chiesa?
    - o era anche questa un'espressione di cortesia?
    - oppure era un modo per suggerire che in nome di un ingenuo e sproporzionato "amore per la Chiesa" Palmaro avrebbe preso lucciole per lanterne?

Io sono convinto che quei rilievi critici di Gnocchi e Palmaro abbiano fatto bene alla Chiesa proprio perché fondati sulla Verità.

L'amore che non parte dalla Verità, nel migliore dei casi sfocia nella tifoseria.

E la Chiesa e il Pontefice non hanno mai avuto bisogno di scodinzolanti tifosi.
 
 

martedì 25 marzo 2014

"La riforma liturgica è fallita perché è nata non dalla Tradizione della Chiesa, ma da un colpo di mano del partito intellettuale" (Don Gianni Baget Bozzo)

       La riforma liturgica: una riforma problematica

di don Gianni Baget Bozzo
 

LA LITURGIA:
questo è il tema su cui il fallimento della riforma conciliare è apparso più chiaro.
L’enciclica Mediator Dei aveva già previsto tutti i danni che sarebbero derivati dalle tendenze liturgiche franco-tedesche legate all’opera di Ernest Jungmann e di Otto Casel.
[…]
Pio XII comprese l’errore dell’arcaismo di Jungmann, per cui la liturgia andava riformata arcaicamente sul modello della Chiesa primitiva; e comprese l’errore di Casel, che vedeva nella liturgia la celebrazione del Cristo risorto e non del Cristo redentore.
In ambedue i casi si trattava di separare la Chiesa dalla sua Tradizione, svolta nel tempo e nella storia.
Al centro della Mediator Dei stava la dottrina della Messa come rinnovazione del sacrificio di Cristo, il ruolo sacerdotale costitutivo del prete, il valore della preghiera personale e di tutte le forme di culto dell’Eucaristia distinte dalla Messa.
Nessuno pensava che la riforma aperta dalla Sacrosanctum Concilium del Vaticano II, che in molte parti ricalcava laMediator Dei con qualche attenuazione delle formule, determinasse la fine di un rito unitario della Chiesa latina. Soprattutto in questo caso si nota il processo che dal testo conciliare giunge sino alla variazione liturgica. E di qui l’elemento centrale è stata la perdita totale del latino come lingua liturgica, che avviene non nella Costituzione conciliare ma nelle successive riforme.
L’effetto di tutte le successive riforme, quelle del ’65 e del ’70, è stato la graduale dissacrazione della liturgia e la riduzione del culto a una attività sociale.
[…]
Il fondamento dell’unione dell’uomo con Dio è la piena distinzione tra l’uomo e Dio. Per questo la pienezza della è data dalla Rivelazione cristiana, che pone l’unione tra Dio e l’uomo a partire dalla piena distinzione tra Dio e l’uomo.
[…]
La perdita del sacro è un effetto avvenuto nel culto pubblico cattolico e ciò è accaduto proprio secondo le linee di previsione che erano contenute della Mediator Dei. Tutto è stato pensato, a cominciare dalla trasformazione dell’altare in mensa, con l’accento passato dalla rinnovazione del sacrificio della Croce alla comunione dei fedeli con il Corpo del Signore.
L’atto redentore è un atto unico, l’atto del solo Cristo: un atto intertrinitario in cui il Figlio offre la sua umanità e l’umanità del mondo in sacrificio al Padre in un atto di assoluta adorazione.
Qui solamente il Mistero trinitario è manifestato nella sua verità. Il sacerdote celebrante viene immerso come persona nel Mistero trinitario, anche se in rappresentanza di tutti i cristiani, ma è egli solo a rendere presente l’atto unico del sacrificio del Verbo incarnato. Tutti partecipano all’oblazione del sacrificio, il sacerdote soltanto lo compie. Questi sono i temi della Mediator Deiche sono andati perduti nel momento in cui l’altare è divenuto mensa.
[…]
I due temi fondamentali della Mediator Dei vengono rapidamente cancellati e in pochi anni dopo il Concilio il Sessantotto ha già creato la possibilità delle eucarestie selvagge.
Il prete non è più il sacerdote, ma il presbitero della cominità, il “presidente dell’assemblea”. E in realtà qui è avvenuta la grande regressione: dalla persona alla comunità.
[…]
E così avviene l’evento disastroso centrale nella vita della Chiesa; un evento non voluto, non previsto, non desiderato: la sostituzione della Chiesa a Cristo. Una volta si diceva: Cristo sì la Chiesa no, ma oggi sembra prevalere il principio contrario: la Chiesa sì, Cristo no.
[…]
Tutto era scritto nella sostituzione dell’altare con la mensa, così che sembrava innocente un ritorno all’evento originario. Ma non era il ritorno alle origini il principio di tutte le eresie che avevano diviso la Chiesa cattolica, negando, in favore delle origini, l’opera dello Spirito Santo nel tempo intermedio tra la prima e la seconda venuta del Cristo? No, nessuno avrebbe previsto che una sostituzione così semplice comportasse una potenzialità eversiva così grande come la riduzione della Chiesa e una comunità orizzontale, a una comunità sociale, fondata sulla sua auto glorificazione.
Ma se al sacrificio della Croce, atto intertrinitario in cui viene comunicata la vita divina agli uomini con un gesto unico del Figlio incarnato, si sostituisce la pluralità dell’atto di partecipazione umana al dono di Dio, si trascina la Chiesa verso il basso.
[…]
Il Cristianesimo diviene espressione dell’amore fraterno, della non violenza e dell’assistenza. E’ una sottile forma gnostica di riduzione della Chiesa a una sorta di purezza meta mondana, di separazione dalla sua carnalità storica e temporale.
Questo culto dell’innocenza assoluta è il sostituto di una fede in chi è venuto a redimere i peccati del mondo. E la Chiesa dovrebbe sapere di essere fatta per gli uomini, non per pseudo angeli delle opere buone che divengono immediatamente compatibili con il mondo, con tutto ciò che di mondano il mondo approva. Il mondo nella sua realtà è cosa migliore di questi eretici della disincarnazione di Dio e della angelizzazione dei cristiani.
[…]
C’è una sottile fessura tra l’ultima grande enciclica di Pio XII sulla liturgia e la Sacrosanctum Concilium. Per quella fessura è passata l’autodistruzione della Chiesa; era di lì che era passato quel “fumo di Satana nel tempio di Dio” di cui parlava Paolo VI, in un momento di pienezza del carisma papale.
[…]
La riforma liturgica fu applicata in modo autoritario e violento, fu un atto di imposizione della gerarchia sui fedeli, che non domandavano la rivoluzione nella liturgia. Nessuna obiezione venne ascoltata. Già operava il “principe di questo mondo” e il fiume anticristico fluiva per passi insensibili.
Tutto sembrava così innovatore, intelligente, comprensibile: rendere persuasivo il Mistero, quale tentazione ! E tuttavia bisogna dire che, vedendo quello che è accaduto, i timori del movimento di Econe sembravano giustificati proprio sul punto della potenzialità rivoluzionaria della riforma.
Il risultato è stato il compimento della rivoluzione moderna quando il moderno finiva. E il risultato è che la liturgia della Chiesa postconciliare è una liturgia morente, priva del sacro, del canto, priva di bellezza, di grandezza.
Quando si celebra la Messa tradizionale, si sente in essa la Chiesa vibrare. Il sacerdote appare veramente come alter Christus, come colui che esprime la differenza tra il Cristo e il popolo, esprime l’essenza del sacro. E per vivere il Mistero della divinoumanità, della divinizzazione del cristiano, occorre che la differenza tra Dio e l’uomo, tra il Cristo e il crisitano, sia espressa; il sacerdote come persona sacra esprime la differenza tra il Cristo e il cristiano. Esprime la sacralità, la differenza che è alla base dell’unione. La dissacrazione della Messa è divenuta la dissacrazione del prete.
[…]
La riforma liturgica venne realizzata con un metodo autoritario, perché in essa era implicito il principio moderno di rivoluzione. Sembra strano pensare alle scipite figure dei liturgisti come ad agenti rivoluzionari, ma così fu. Lutero almeno fece le cose in modo forte e proprio. Ma con la riforma liturgica questo è avvenuto senza che vi fosse coscienza della tragedia spirituale che si consumava.
[…]
La nuova liturgia è fatta per il “noi”, non per l’”io”. E questo è caratteristico del pensiero rivoluzionario moderno: mettere il “noi” al posto dell’ “io”.
Nella liturgia riformata c’è posto solo per il “noi”. Mentre nell’eterno compare l’io (e la liturgia terrestre è comunione con la liturgia celeste), nella nuova liturgia esso è assente.
L’io nella liturgia tradizionale appare subito nella dimensione in cui compare nel Cristianesimo: il senso del peccato. Ciò è visibile fin dal doppio Confiteor della Messa tradizionale, che indica la persona. L’io del Confiteor mostra che il Confiteor del popolo è un Confiteor dell’io, non del noi.
[…]
La comunità è una invenzione clericale: coloro che vengono a Messa cercano Dio, non il “noi”. Se avessero la Messa tradizionale vi si inserirebbero subito, ove si fosse un clero capace di introdurre al Mistero.
[…]
La riforma liturgica è fallita perché è nata non dalla Tradizione della Chiesa, ma da un colpo di mano del partito intellettuale.
[…]
Giovanni Paolo II avrebbe dovuto chiedere perdono a tutti coloro che si sono sentiti offesi dalla riforma di Paolo VI e che si trovano oggi emarginati.
[…]
E’ la riforma che svuota le parrocchie e i seminari, che lascia senza autorità i vescovi.
La liturgia è il punto in cui la teologia antropologica poteva ferire il popolo, nella sua dimensione più originaria il sacro.
Gianni Baget Bozzo, L’Anticristo – il principe delle tenebre opera nella storia da piccole fessure… , Mondadori, Milano 2001 pp.46-55
 
tratto da: http://www.missagregoriana.it/?p=1592