sabato 21 settembre 2013

Conferenza di Sua Eccellenza Mons. Athanasius Schneider a Roma il prossimo 30 settembre






Conferenza di
Sua Eccellenza Mons. Athanasius Schneider, vescovo ausiliare dell’Arcidiocesi di Maria Santissima in Astana (Kazakhistan),
sul tema del suo ultimo libro:

Corpus Christi. La Santa Comunione e il rinnovamento della Chiesa

(Libreria Editrice Vaticana 2013).
L’incontro si svolgerà 
 lunedì 30 settembre 2013 alle ore 18.00
presso la sala conferenze della sede d dell'Associazione LEPANTO
a Roma
in Piazza Santa Balbina 8.

venerdì 20 settembre 2013

Messa V. O. per la Festa di San Pio da Pietrelcina a Castel San Giovanni (PC)


 
Il Coetus fidelium "San Gregorio Magno" comunica che
lunedì prossimo, 23 settembre, alle ore 21,
presso la Chiesa di Santa Maria in Torricella (detta dei Sacchi)
di Castel San Giovanni (Piacenza), verrà celebrata
una S. Messa cantata
nella festa di San Pio di Pietrelcina, secondo il Missale Romanum edito dal Beato Giovanni XXIII nel 1962.

Celebrerà don Marino Neri, Parroco di Linarolo (PV), con l'assitenza del parroco di Castel San Giovanni, mons. Lino Ferrari.

Sarà inoltre presente il coro parrocchiale di Castelnovo Val Tidone, che eseguirà la Messa Cerviana di Perosi.

giovedì 19 settembre 2013

"Dimostriamo che siamo in tanti ad amare la Messa di sempre"



 Riceviamo e pubblichiamo l'invito di Marco Bongi alla partecipazione al "Terzo Pellegrinaggio della Tradizione alla Madonna di Oropa", Pellegrinaggio organizzato da "Radicati nella fede".

"Si svolgerà sabato 5 ottobre p.v. il "Terzo Pellegrinaggio della Tradizione" al celebre Santuario eusebiano della Madonna Bruna in provincia di Biella.
 
 Organizzano, come gli anni scorsi, le chiese di Vocogno e Domodossola dove si celebra la S. Messa Tradizionale nel rito antico.
 
 Sono invitati tutti i gruppi, con sacerdoti e religiosi, che frequentano chiese o cappelle dove è celebrata la S. Messa Tradizionale.

Il programma prevede la celebrazione della S. Messa solenne alle ore 10,30 nella Basilica nuova e, nel pomeriggio, alle ore 15,30, la recita del S. Rosario nella Basilica Antica, davanti all'immagine miracolosa della Madonna di Oropa.
 
 Tale S. Effige fu portata fra queste montagne, secondo la tradizione, da S. Eusebio, Vescovo di Vercelli, e grande oppositore dell'eresia ariana.

Sarà possibile consumare il pasto al sacco, in locali riscaldati, o presso un ristorante convenzionato, al prezzo di euro 18,00. Per prenotare il pranzo al ristorante telefonare a don Alberto Secci: 349 - 28.48.054.

La partecipazione è molto importante. Dimostriamo che siamo in tanti ad amare la Messa di sempre e chiediamo con Fede alla Madonna di proteggere i sacerdoti che coraggiosamente si stanno avvicinando a tale rito."

Marco Bongi

Pellegrinaggio 2012

Pellegrinaggio 2012

Pellegrinaggio 2011

Pellegrinaggio 2011




mercoledì 18 settembre 2013

una chiesa che uccide i suoi figli è una chiesa senza futuro: in difesa dei Francescani dell'Immacolata

In difesa dei francescani puniti da papa Francesco

Quattro studiosi hanno inviato in Vaticano un esposto contro il divieto ai frati dell'Immacolata di celebrare la messa in rito antico. "È una sanzione in palese contrasto con il motu proprio 'Summorum pontificum' di Benedetto XVI"

di Sandro Magister
                              

ROMA, 17 settembre 2013 – Il divieto imposto da papa Francesco ai frati francescani dell'Immacolata di celebrare la messa in rito antico continua a suscitare vivaci e diffuse reazioni.

Nel darne notizia, lo scorso 29 luglio, www.chiesa titolò così:

 La prima volta che Francesco contraddice Benedetto


In realtà, quella libertà di celebrare la messa in rito antico che papa Joseph Ratzinger aveva assicurato a tutti col motu proprio "Summorum pontifiicum" oggi non ha più estensione universale, perché è stata revocata dal suo successore a una congregazione religiosa e conseguentemente anche ai fedeli che assistevano alle sue messe.

Con contraccolpi che investono l'intera Chiesa.

Molti amanti della tradizione temono infatti che questa restrizione apportata a un caposaldo del pontificato di Benedetto XVI diventi presto un impedimento più generale.

Così come, sul fronte opposto, altri invocano che la messa in rito antico sia relegata definitivamente al passato e salutano nel divieto imposto da papa Francesco ai francescani dell'Immacolata un primo passo in questa direzione.

I francescani dell'Immacolata hanno ubbidito. Ma c'è chi non si è arreso e ha inviato in Vaticano una critica serrata del decreto con cui la congregazione per i religiosi – con l'esplicita approvazione del papa – ha intimato ai frati il divieto di celebrare la messa in rito antico.

Gli autori di questa analisi critica sono quattro rinomati studiosi cattolici: Roberto de Mattei, storico e autore di una rilevante ricostruzione in chiave tradizionalista del Concilio Vaticano II, Mario Palmaro, filosofo del diritto, Andrea Sandri, esperto in diritto costituzionale, e Giovanni Turco, filosofo. I primi due insegnano all'Università Europea di Roma, il terzo all'Università Cattolica di Milano, il quarto all'Università di Udine.

I quattro – costituitisi in una commissione di studio denominata "Bonum veritatis" – hanno inviato il 14 settembre il loro esposto al cardinale João Braz de Aviz, prefetto della congregazione che ha emesso il decreto, quella per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, e per conoscenza ad altri dirigenti vaticani: al segretario di Stato entrante Pietro Parolin, al cardinale Raymond L. Burke, presidente del tribunale supremo della segnatura apostolica, all'arcivescovo Guido Pozzo, segretario della pontificia commissione "Ecclesia Dei".

Nella lettera con cui accompagnano l'esposto, così i quattro motivano la loro iniziativa:

"L'analisi, da noi coordinata, è stata redatta da un gruppo di studiosi, di diverse discipline, che hanno avvertito in coscienza il dovere di offrire una riflessione sulla questione, in considerazione del suo interesse universale, consapevoli del diritto dei fedeli, sancito dal codice di diritto canonico (can. 212) di proporre ai pastori pareri riguardanti la vita della Chiesa. Essi riscontrano nel decreto una serie di gravi problemi che attengono al rispetto della legge naturale e del diritto canonico, nonché della 'lex credendi', e che hanno rilevanza per tutto il mondo cattolico. La loro gravità merita di essere considerata nella loro portata e nelle sue conseguenze".

Nella conclusione della lettera, i firmatari chiedono "un tempestivo intervento della Santa Sede per riconsiderare la questione nella luce della giustizia e dell’equità, nonché del bene spirituale di sacerdoti e fedeli".


__________



ANALISI DEL DECRETO DI COMMISSARIAMENTO DEI FRANCESCANI DELL'IMMACOLATA

di Roberto de Mattei, Mario Palmaro, Andrea Sandri, Giovanni Turco



Il decreto della congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica dell’11 luglio 2013 […] è un atto di gravità tale da non potere essere considerato di mera rilevanza interna per i soli destinatari. […]

Il decreto impone ai frati francescani dell’Immacolata – contrariamente a quanto disposto dalla bolla "Quo primum" di san Pio V e dal motu proprio "Summorum pontificum" di Benedetto XVI – il divieto di celebrare la messa tradizionale.

Ciò facendo priva di un bene di valore incommensurabile – la messa (celebrata in rito romano antico) – sia i frati, sia i fedeli che attraverso il ministero dei frati hanno potuto partecipare alla messa tridentina, sia tutti coloro i quali avrebbero potuto, in futuro, eventualmente parteciparvi.

Il decreto, perciò, non riguarda solo un bene – e con ciò, "il" bene – di cui sono privati (salvo espressa autorizzazione) i frati, ma anche un bene – e con ciò, "il" bene – spirituale dei fedeli, che mediante il ministero dei frati desideravano e desiderano accedere alla messa tradizionale.

Essi si trovano a subire – loro malgrado ed al di là di qualsivoglia colpa, quindi senza ragione – una sanzione in palese contrasto con lo spirito e con la lettera sia dell’indulto "Quattuor abhinc annos", sia della lettera apostolica "Ecclesia Dei", di Giovanni Paolo II, sia del motu proprio "Summorum pontificum" di Benedetto XVI.

Tali documenti, infatti, sono palesemente mossi dalla finalità di soddisfare l’esigenza di partecipazione alla messa secondo il rito romano classico, da parte di tutti i fedeli che ne abbiano desiderio.

Pertanto il decreto evidenzia una obiettiva rilevanza per tutti coloro i quali – per le ragioni più diverse – apprezzano ed amano la messa latino-gregoriana. Tali fedeli attualmente costituiscono una parte cospicua, e certamente non trascurabile, dei cattolici, sparsi in tutto il mondo. Potenzialmente essi potrebbero coincidere con la totalità stessa dei membri della Chiesa. Il decreto colpisce obiettivamente anch’essi.

Parimenti colpisce tutti coloro i quali, anche acattolici – per diverse ragioni, come storicamente già emerso in occasione dell’appello presentato a Paolo VI nel 1971 – avessero a cuore la continuità della messa tradizionale. Il decreto (ben al di là, quindi, della vicenda relativa ad un Istituto religioso) palesa una rilevanza universale anche sotto questo profilo. […]

*

Per quanto riguarda la proibizione della celebrazione della messa in rito romano antico (detta anche “forma straordinaria”) si rilevano numerosi e gravi problemi posti dal decreto in parola, che evidenziano obiettivamente altrettante manifeste anomalie logiche e giuridiche.

Anzitutto, in merito a tale proibizione imposta ai frati francescani dell’Immacolata, derivante dalla imposizione ad essi della sola facoltà di celebrare in modo esclusivo secondo il nuovo messale (detto anche “forma ordinaria”) salvo espressa autorizzazione, non si può non rilevare che essa risulta palesemente in contrasto con quanto disposto per la Chiesa universale tanto dalla bolla "Quo primum" di san Pio V (1570) quanto dal motu proprio "Summorum pontificum" di Benedetto XVI (2007). 

La bolla di san Pio V, infatti, stabilisce universalmente ed in perpetuo: “in virtù dell’autorità apostolica noi concediamo, a tutti i sacerdoti, a tenore della presente, l’indulto perpetuo di poter seguire, in modo generale, in qualunque Chiesa, senza scrupolo alcuno di coscienza o pericolo di incorrere in alcuna pena, giudizio o censura, questo stesso messale, di cui avranno la piena facoltà di servirsi liberamente e lecitamente, così che prelati, amministratori, canonici, cappellani e tutti gli altri sacerdoti secolari, qualunque sia il loro grado, o i regolari, a qualunque ordine appartengano, non siano tenuti a celebrare la messa in maniera differente da quella che noi abbiamo prescritta né d’altra parte possano venir costretti e spinti da alcuno a cambiare questo messale”.

A sua volta, il motu proprio di Benedetto XVI stabilisce che “è lecito celebrare il sacrificio della messa secondo l’edizione tipica del messale romano promulgata dal beato Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato”. E precisa che “per tale celebrazione secondo l’uno o l’altro messale il sacerdote non ha bisogno di alcun permesso, né dalla Sede Apostolica, né dal suo ordinario”.

Altresì il motu proprio afferma che “le comunità degli istituti di vita consacrata e delle società di vita apostolica, di diritto sia pontificio, sia diocesano, che nella celebrazione conventuale o 'comunitaria' nei propri oratori desiderano celebrare la santa messa secondo l’edizione del messale romano promulgato nel 1962, possono farlo”. Analogamente dichiara che “ai chierici costituiti 'in sacris' è lecito usare il breviario romano promulgato dal beato Giovanni XXIII nel 1962”.

Il medesimo motu proprio fissa inequivocabilmente che “tutto ciò che da noi è stato stabilito con questa lettera apostolica data a modo di motu proprio, ordiniamo che sia considerato come 'stabilito e decretato' e da osservare dal giorno 14 settembre di quest’anno [2007], nonostante tutto ciò che possa esservi in contrario”.

Come è chiaro dai due testi summenzionati e dai loro connotati essenziali, la libertà di celebrazione della messa tridentina appartiene alla legislazione universale della Chiesa e configura un diritto per ciascun sacerdote.

Analogamente ne deriva un diritto per i fedeli aderenti a tale “tradizione liturgica”. Quanto ad essi, infatti, il codice di diritto canonico riconosce: “I fedeli hanno il diritto di rendere culto a Dio secondo le disposizioni del proprio rito approvato dai legittimi pastori della Chiesa” (can. 214).

Perciò la proibizione, salvo autorizzazione, disposta dal decreto misconosce obiettivamente tale legislazione universale della Chiesa, deliberando – mediante un atto evidentemente da subordinarsi ad essa (sia per materia sia per forma) – in modo contrastante con la disciplina universale e permanente. La quale, in ragione delle sue origini apostoliche, gode – come argomentano illustri studiosi – del carattere dell’irreformabilità.

La proibizione della celebrazione della messa tridentina da parte del decreto risulta ingiustamente discriminante nei confronti del rito latino-gregoriano, il quale non solo risale dal Concilio di Trento a san Gregorio Magno e da questi alla tradizione apostolica ma, secondo l’inequivocabile apprezzamento del motu proprio "Summorum pontificum" di Benedetto XVI "deve essere tenuto nel debito onore per il suo uso venerabile e antico". Esso, infatti, è espressione della "lex orandi" della Chiesa. Pertanto un bene da custodire. Non un male da cui allontanare.

Inoltre, l’imposizione ai frati della sola celebrazione del nuovo messale, suppone una normativa di autorizzazione speciale nei confronti del messale latino-gregoriano, la quale è obiettivamente inesistente. O altrimenti ne introduce l’applicazione, a fronte di una legislazione di contenuto palesemente diverso ed opposto.

È chiaro, infatti, che il regime di autorizzazione di un atto o attività particolare presuppone una proibizione ordinaria, alla quale eventualmente si può derogare in casi straordinari (particolari e determinati). Ma questo (ovvero l’ordinaria interdizione) è escluso esplicitamente dalla legge della Chiesa, la quale dichiara come facoltà del sacerdote, da esercitarsi liberamente e senza alcuna autorizzazione, quella della celebrazione della messa tridentina.

Va rilevato, altresì, che l’interdizione (salvo espressa autorizzazione) di tale celebrazione evidenzia tre ulteriori obiettive anomalie del decreto.

Questo, infatti, stabilisce un regime di autorizzazione per la messa tradizionale, indicando genericamente come titolare della potestà autorizzativa le “competenti autorità”. Ma, risultando abrogata la normativa prevista dall’indulto "Quattuor abhinc annos" e dalla lettera apostolica "Ecclesia Dei", non si intende quale sia precisamente l’autorità competente a rilasciare l’autorizzazione in parola. Tanto più che la competenza in tale materia prescinde certamente dalla congregazione degli istituti di vita consacrata, e sarebbe semmai da riferirsi alla commissione pontificia "Ecclesia Dei".  

Risulta singolare, peraltro, che l’autorizzazione di cui al decreto sia da concedersi “per ogni religioso e/o comunità”, quasi che a celebrare la messa non sia il singolo sacerdote, ma anche una comunità tutta intera, nel suo insieme (compresi eventualmente i frati non sacerdoti). Quasi che la comunità autorizzata possa autorizzare a sua volta, trasmettendo (come?) l’autorizzazione (da parte di chi?), proceduralmente (a quali condizioni?) al singolo celebrante.

A segnare una ulteriore anomalia del decreto vi è il fatto che tale regime di autorizzazione è temporalmente indeterminato. Non vengono, cioè, indicati i termini di applicabilità del regime di autorizzazione imposto ai soli frati francescani dell’Immacolata. Fino a quando sarà ad essi imposta la richiesta dell’autorizzazione? Fino ad un determinato giorno? Fino al conseguimento di un certo obiettivo? In perpetuo?

Al riguardo il testo del decreto nulla dice. Contrariamente alla necessità di determinatezza – ovvero di razionalità e di giustizia – di qualsivoglia provvedimento (difatti, anche una pena che coincida con l’intero arco della vita o che sia perpetua ha una sua determinatezza). Si tratta di una istanza di diritto naturale e di diritto canonico (cfr. can. 1319). Ignorata la quale si manifesta un evidente detrimento tanto del carattere retributivo, quanto del carattere medicinale di qualsivoglia provvedimento restrittivo (in questo caso, di una facoltà propria di ogni sacerdote).                

D’altra parte, la proibizione della celebrazione della messa latino-gregoriana – pur riferita dal decreto come decisa dal papa – resta obiettivamente circoscritta nell’ambito di un decreto di una congregazione romana.

Ne consegue che – almeno quanto alla sua forma ed al vincolo che da essa deriva – non può che condividere i limiti del decreto medesimo e la sua necessaria sottomissione alla legislazione universale della Chiesa. Infatti, diversamente da una qualsiasi deliberazione disciplinare pontificia – tale "ex professo", se compiuta nell’ambito della sua potestà di giurisdizione, ovvero del "munus gubernandi", e secondo quanto legittimamente possibile in conformità al diritto divino positivo ed alle definizioni solenni ad esso relative – la disposizione in oggetto non può che restare circoscritta al decreto medesimo, nei limiti delle facoltà di una delle congregazioni romane.

In ogni caso, l’imposizione derivante dal decreto come qualsiasi deliberazione disciplinare di chicchessia non può non essere obiettivamente misurata dal diritto naturale – ovvero dalla giustizia – e dal diritto divino positivo, cui il diritto canonico, la disciplina e la giurisprudenza ecclesiatiche devono necessariamente conformarsi.

Infatti, come ha ricordato Benedetto XVI nel discorso in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del tribunale della Rota romana del 21 gennaio 2012, “la 'lex agendi' non può che rispecchiare la 'lex credendi'”.

martedì 17 settembre 2013

Saliamo pellegrini ai piedi della Vergine Bruna di Oropa: "Terzo Pellegrinaggio della Tradizione alla Madonna di Oropa" - Sabato 5 ottobre 2013



Ci associamo a "Radicati nella fede
il blog della chiesa di Vocogno 
e della cappella dell'Ospedale di Domodossola 
[provincia di Verbania, Diocesi di Novara] 


e rinnoviamo l'invito al 
"Terzo Pellegrinaggio della Tradizione 
alla Madonna di Oropa" 

fissato per

SABATO 5 OTTOBRE 2013

con il seguente programma

ore 10.30 
Santa Messa Solenne 
in Basilica nuova

ore 15.30 
S. Rosario 
di fronte all'Immagine miracolosa 
in Basilica antica

 
 Invitiamo tutti i fedeli (singoli o gruppi) legati alla Messa tradizionale a salire pellegrini al Santuario Eusebiano per invocare la benedizione celeste per l'intercessione della Vergine Bruna.

Regina Montis Oropae, ora pro nobis.

 
S. Messa solenne nel Pellegrinagio del 2012
 
Santo Rosario 2012

 Per chi non volesse consumare il pranzo al sacco (con la disponibilità, in caso di brutto tempo, di appositi locali riscaldati) c'è la possibilità del pranzo al ristorante al prezzo di euro 18 (in questo caso occore prenotarsi telefonando a don Alberto Secci 349/2848054 oppure a don Stefano Coggiola 348/2463990).

Il Santuario di Oropa si trova nella Diocesi di Biella a pochi minuti dal capoluogo (vedi foto)

 


domenica 15 settembre 2013

altro che pelagianesimo

Un commento sulla
lettera del Papa
a Scalfari

La lettera di Papa Francesco ad Eugenio  Scalfari, fondatore del quotidiano "La Repubblica", non è certo un atto di Magistero, e in questo potranno concordare anche coloro che sono soliti rimproverarci su questo punto. È quindi senz’altro possibile discuterla alla luce del Magistero, quello sempre vivo perché interprete e vicario delle parole del Cristo, pronunciate duemila anni fa. Il Magistero, quello vero, non si distingue in vivente o passato: un atto di qualsiasi epoca è sempre vivo e attuale, essendo solo la conferma per noi di quanto detto o non detto da Gesù e dagli Apostoli.
Il fatto che la lettera non sia Magistero, come molti altri atti apparentemente ufficiali dei recenti Pontefici, non toglie che sia un atto gravissimo, perché pubblico e quindi, in caso fosse erroneo, atto a produrre scandalo (cioè cattivo esempio, spinta all’errore) nel lettore.
Innanzitutto, sulla figura di Scalfari e sull’opportunità di dialogare con lui, specie dandogli credito in pubblico di valido interlocutore, rimandiamo a un articolo di Francesco Colafemmina , del quale ci piace citare il commento: «Scalfari non cerca Dio. Scalfari tenta Dio e il Papa. Non è in dialogo perché cerca l'Assoluto, no. Il suo è un pallino intellettuale. Non cerca nulla per sé, per la sua anima, concetto al quale non crede neppure e dunque perché chieder conto del peccato? Lui vuol solo dimostrare al mondo che la Chiesa deve dare spiegazioni della sua presunzione di verità e della sua autorità in merito al peccato. E che la Chiesa di papa Francesco è diversa da quella che l'ha preceduta. Per Scalfari non esiste né Dio né il peccato. Ma egli tenta il Papa, vuole costringerlo per mera cortesia verbale attraverso un gioco di insincera apertura alle sue risposte, ad affermare che sì, la misericordia di Dio perdona sempre. Che anche l'ateo - che per il catechismo per ciò stesso ossia per la sua negazione consapevole di Dio, è già in stato di peccato - in realtà non compie peccato se non quando ignora la sua coscienza. Ma cos'è la coscienza e come si articola il suo giudizio? Questo il Papa non lo chiarisce. Peccato che il Papa si sia prestato al giochino superbo e autoreferenziale di Scalfari. Non una pecorella smarrita, ma un peccatore convinto, un ateo animato soltanto da una insensata hybris».
Venendo al testo, che è ciò che più conta, abbondano le espressioni circiteristiche (come avrebbe detto Amerio sull’esprimersi senza definire precisamente i concetti), e affermazioni che sembrano quasi giochi sulle parole, come l’affermazione che la verità non è assoluta perché “relazione” con Gesù Cristo. Ovviamente il termine assoluto è preso in due sensi diversi: Scalfari chiede se la verità è assoluta, cioè non relativa al soggetto che la recepisce, e il Papa risponde che non è assoluta perché mette il soggetto in relazione con Gesù Cristo. Evidentemente non era mediaticamente opportuno che il Papa predicasse l’aggettivo assoluta al soggetto verità, quindi è bastato un semplice sofisma per non negare e non affermare. Altro punto simile è il trito ritornello del dialogo, senza grandi distinzioni e senza che si capisca quale sia lo scopo del dialogo medesimo. Anche su questo si è detto e scritto molto. Quanto al presentare la fede come incontro personale, come esperienza (anche comune), si vede quanto questo avvicina alle varie forme dell’errore modernista. Anche l’affermazione apparentemente più antirelativista («Dio non dipende dal nostro pensiero») ha come fondamento l’esperienza personale che Francesco vuole condividere con il suo interlocutore: « Dio — questo è il mio pensiero e questa la mia esperienza, ma quanti, ieri e oggi, li condividono! — non è un’idea, sia pure altissima, frutto del pensiero dell’uomo». Che cosa resti della fede teologale, come anche delle prove metafisiche dell’esistenza di Dio, è difficile dirlo: di certo non sono menzionate, forse per ragioni pastorali, o forse perché ritenute impresentabili.
Il punto chiave sul quale ci dobbiamo soffermare, è però costituito dalle numerose affermazioni apertamente eterodosse. Seguiamo l’ordine della lettera nell’enumerarle.
Secondo il Papa, per un salto logico di difficile comprensione, dall’Incarnazione deriva la separazione tra sfera politica e religiosa, al punto che la Chiesa semplicemente addita la meta ultraterrena facendosi sale e lievito nella massa, senza che ciò comporti «ricerca di qualsivoglia egemonia». A parte la condanna della separazione Stato/Chiesa compiuta da san Pio X nell’enciclica Vehementer o da Leone XIII in Satis Cognitum, anche il fatto che la Chiesa debba solo dare una direzione e non esigere l’effettiva sottomissione a Dio della società civile è ampiamente condannato (Costituzione Inter multiplices di Alessandro VIII del 4 agosto 1690, DzS. 2281-2285; condanna ripresa da Pio VI in Auctorem fidei, DzS. 2699), inconciliabile con la dottrina del Cristo Re di Pio XI in Quas primas, e del tutto opposto alla definizione dogmatica di Bonifacio VIII in chiusura di Unam Sanctam, che in virtù dell’unità di Dio richiede la sottomissione di ogni creatura (quindi anche del potere secolare, su cui verte la bolla) al Romano Pontefice. Papa Francesco tra l’altro attribuisce a un faticoso - ma evidentemente positivo - processo questa separazione realizzatasi in Occidente, sancendo così come lodevole sforzo secoli di lotta contro il potere di Cristo, del Papa e della Chiesa Romana.
Segue nella lettera un paragrafo sul popolo ebraico, dove si afferma che «mai è venuta meno la fedeltà di Dio all’alleanza stretta con Israele e che, attraverso le terribili prove di questi secoli, gli ebrei hanno conservato la loro fede in Dio. E di questo, a loro, non saremo mai sufficientemente grati, come Chiesa, ma anche come umanità». Su questa dottrina così di moda e così opposta al dato rivelato, rinviamo a recenti studi pubblicati sul sito della FSSPX .
La parte più inquietante rimane comunque quella sulla libertà di coscienza, che sfocia in un aperto relativismo. Non si accenna minimamente al dovere morale di adeguare la propria coscienza all’ordine voluto da Dio, proprio mentre Scalfari chiedeva cosa pensa la Chiesa della salvezza di chi nemmeno cerca Dio o la verità (cioè anche chi rimane nell’ignoranza volontariamente, magari anche per negligenza). Vi si trova invece, papale papale, la seguente affermazione: « Innanzi tutto, mi chiede se il Dio dei cristiani perdona chi non crede e non cerca la fede. Premesso che — ed è la cosa fondamentale — la misericordia di Dio non ha limiti se ci si rivolge a lui con cuore sincero e contrito, la questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha la fede, c’è quando si va contro la coscienza. Ascoltare e obbedire ad essa significa, infatti, decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o come male. E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire». Se questo non è puro relativismo, ci si domanda che cosa sia questa tanto vituperata dottrina. Anche prescindendo dal problema del peccato puramente materiale, anche prescindendo dal fatto che non si capisce come possa rivolgersi contrito a Dio chi non crede (ma il problema non si pone: non essendo peccato per il non credente non credere, di che dovrebbe essere contrito?), anche prescindendo dal fatto che la salvezza viene dalla grazia (che quindi mi porta a conoscere la verità, o almeno a cercarla: altro che pelagianesimo!), questa pubblica risposta conferma nel suo stato il non-credente che non cerca la fede, e potenzialmente giustifica qualsiasi atto che venga percepito come bene dal soggetto. L’unico male sarebbe agire contro coscienza, a prescindere dallo stesso dovere della coscienza di adeguarsi alla verità oggettiva e esterna. Che spazio resta tra tali affermazioni e il “sarete come Dio, conoscerete il bene e il male”? Non ci sembra nemmeno necessario ricordare qui le condanne della libertà di coscienza di Mirari vos e Quanta cura, e rinviamo alle encicliche Immortale Dei e Libertas di Leone XIII per chi volesse sentire delle parole cattoliche e magisteriali.
Di fronte a questi errori condannati ma pubblicamente ripetuti a così alto livello e con tale alto grado di pubblicità, è dunque dovere di ogni cattolico di professare apertamente e senza timore la verità, dissociandosi da tali affermazioni che attaccano diversi punti del dogma e minano le basi della virtù di fede e di qualsiasi vita morale fondata sull’ordine oggettivo voluto da Dio Creatore e Redentore. Respingiamo questo pelagianesimo che mira a fare della coscienza umana, anche negligente e nell’ignoranza crassa, l’artefice della sua propria salvezza. Ribadiamo la necessità di credere per avere la vita eterna, e della grazia per credere e vivere coerentemente alla fede: senza tutto questo, è impossibile piacere a Dio e essere salvati.


Don Mauro Tranquillo