venerdì 20 luglio 2012

"in attesa che sia reso possibile un dibattito aperto e serio mirante ad un ritorno delle autorità ecclesiastiche alla Tradizione" (Dichiarazione del Capitolo generale della FSSPX)


Dichiarazione

del Capitolo generale

della FSSPX


Alla fine del Capitolo generale della Fraternità Sacerdotale San Pio X, riuniti accanto alla tomba del suo venerato fondatore Mons. Marcel Lefebvre, e uniti al suo Superiore generale, noi partecipanti, Vescovi, superiori e anziani di questa Fraternità, teniamo a far salire al cielo le nostre più vive azioni di grazia per i quarantadue anni di protezione divina così meravigliosa sulla nostra opera, in mezzo ad una Chiesa in piena crisi e ad un mondo che si allontana di giorno in giorno da Dio e dalla sua legge.

Noi esprimiamo la nostra profonda gratitudine a tutti i membri di questa Fraternità, sacerdoti, frati, suore, terziari, alle comunità religiose amiche, come ai cari fedeli, per la loro dedizione quotidiana e le loro ferventi preghiere in occasione di questo Capitolo, che ha conosciuto un franco confronto e svolto un lavoro molto fruttuoso. Tutti i sacrifici, tutte le pene accettate con generosità hanno certamente contribuito a superare le difficoltà che la Fraternità ha incontrato in questi ultimi tempi. Noi abbiamo ritrovato la nostra profonda unione nella sua missione essenziale: conservare e difendere la fede cattolica, formare dei buoni sacerdoti e lavorare per la restaurazione della Cristianità. Abbiamo definito ed approvato le necessarie condizioni per una eventuale regolarizzazione canonica. Si è stabilito che, in questo caso, sarà convocato prima un Capitolo straordinario deliberativo. Ma non dimentichiamo che la santificazione delle anime comincia sempre in noi stessi. Essa è opera di una fede vivificata ed operante attraverso la carità, secondo le parole di San Paolo: «Non abbiamo infatti alcun potere contro la verità, ma per la verità» (II Cor. XIII, 8), e anche: «Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, al fine… di renderla santa e immacolata» (Cfr. Ef. V, 25 ss.).
Il Capitolo ritiene che il primo dovere della Fraternità nel servizio che intende rendere alla Chiesa, sia quello di continuare a professare, con l’aiuto di Dio, la fede cattolica in tutta la sua purezza e integrità, con una determinazione proporzionata agli attacchi che questa stessa fede oggi non cessa di subire.
È per questo che ci sembra opportuno riaffermare la nostra fede nella Chiesa cattolica romana, la sola Chiesa fondata da Nostro Signore Gesù Cristo, al di fuori della quale non c’è salvezza né possibilità di trovare i mezzi che conducono ad essa; nella sua costituzione monarchica, voluta da Nostro Signore, che fa sì che il potere supremo di governo su tutta la Chiesa appartenga solo al Papa, Vicario di Cristo sulla terra; nella regalità universale di Nostro Signore Gesù Cristo, creatore dell’ordine naturale e soprannaturale, alla quale ogni uomo e ogni società devono sottomettersi.
Per tutte le novità del Concilio Vaticano II che restano viziate da errori, e per le riforme che ne sono derivate, la Fraternità può solo continuare ad attenersi alle affermazioni e agli insegnamenti del Magistero costante della Chiesa; essa trova la sua guida in questo Magistero ininterrotto che, con la sua azione di insegnamento, trasmette il deposito rivelato in perfetta armonia con tutto ciò che la Chiesa intera ha sempre creduto, in ogni luogo.
Parimenti, la Fraternità trova la sua guida nella Tradizione costante della Chiesa, che trasmette e trasmetterà fino alla fine dei tempi l’insieme degli insegnamenti necessari al mantenimento della fede e alla salvezza, in attesa che sia reso possibile un dibattito aperto e serio mirante ad un ritorno delle autorità ecclesiastiche alla Tradizione.
Noi ci uniamo agli altri cristiani perseguitati nei diversi paesi del mondo, che soffrono per la fede cattolica, spesso fino al martirio. Il loro sangue versato in unione con la Vittima dei nostri altari è la prova del rinnovamento della Chiesa in capite et membris, secondo il vecchio adagio «sanguis martyrum semen christianorum».
«Infine, ci rivolgiamo alla Vergine Maria, anch’ella gelosa dei privilegi del suo Figlio divino, gelosa della sua gloria, del suo Regno sulla terra come in Cielo. Quante volte ella è intervenuta in difesa, anche armata, della Cristianità, contro i nemici del Regno di Nostro Signore! Noi la supplichiamo di intervenire oggi per scacciare i nemici interni che tentano di distruggere la Chiesa più radicalmente dei nemici esterni. Che ella si degni di conservare nell’integrità della fede, nell’amore per la Chiesa, nella devozione al successore di Pietro, tutti i membri della Fraternità San Pio X e tutti i sacerdoti e i fedeli che operano con le stesse intenzioni, affinché ella ci difenda e ci preservi tanto dallo scisma quanto dall’eresia.
Che San Michele Arcangelo ci trasmetta il suo zelo per la gloria di Dio e la sua forza per combattere il demonio.
Che San Pio X ci faccia partecipi della sua saggezza, della sua scienza e della sua santità per discernere, in questi tempi di confusione e di menzogna, il vero dal falso e il bene dal male.» (Mons. Marcel Lefebvre, Albano, 19 ottobre 1983).

Ecône, 14 luglio 2012

Fonte: DICI

martedì 17 luglio 2012

"Non siamo noi che rompiamo con Roma" (Mons. B. Fellay)

Il mutismo dottrinale non è la risposta

all’«apostasia silenziosa»

DICI: Come si è svolto il Capitolo generale? In quale atmosfera?
Mons. Fellay: In un’atmosfera molto calda, perché il mese di luglio è particolarmente torrido, nel Vallese! Ma in un clima molto diligente, in fondo, poiché i membri del Capitolo hanno potuto dialogare in tutta libertà, come si conviene in una tale riunione di lavoro.

DICI: Sono state trattate le relazioni con Roma? Vi erano delle questioni proibite? I dissensi che si sono manifestati in questi ultimi tempi in seno alla Fraternità, hanno potuto essere placati?
Mons. Fellay: Questa non è una domanda sola! A proposito di Roma, siamo veramente andati al fondo delle cose, e tutti i capitolari hanno potuto prendere visione dell’intero dossier. Niente è stato messo da parte, non ci sono tabù tra noi. Era mio dovere esporre con precisione l’insieme dei documenti scambiati col Vaticano, cosa che si era rivelata difficile per il clima deleterio di questi ultimi mesi. Tale esposizione ha permesso una discussione franca che ha chiarito i dubbi e dissipato le incomprensioni. Questo ha favorito la pace e l’unità dei cuori, cosa che è molto gratificante.
DICI: Come vede le relazioni con Roma dopo questo Capitolo?
Mons. Fellay: Per quanto ci riguarda tutte le ambiguità sono state eliminate. Molto presto faremo pervenire a Roma la posizione del Capitolo, che ci ha dato l’occasione di precisare la nostra tabella di marcia insistendo sulla conservazione della nostra identità, unico mezzo efficace per aiutare la Chiesa a restaurare la Cristianità. Poiché, come ho già detto recentemente, «se vogliamo far fruttare il tesoro della Tradizione per il bene delle anime, dobbiamo parlare e agire» (si veda l’intervista in DICI n° 256 dell’8 giugno 2012). Noi non possiamo rimanere in silenzio di fronte alla perdita generalizzata della fede, né di fronte alla caduta vertiginosa delle vocazioni e della pratica religiosa. Non possiamo tacere di fronte all’«apostasia silenziosa» e alle sue cause. Poiché il mutismo dottrinale non è la risposta a questa «apostasia silenziosa» che perfino Giovanni Paolo II constatava nel 2003.
In questi frangenti, noi intendiamo ispirarci, non solo alla fermezza dottrinale di Mons. Lefebvre, ma anche alla sua carità pastorale. La Chiesa ha sempre considerato che la migliore testimonianza a favore della verità fosse data dall’unione dei primi cristiani nella preghiera e nella carità. Essi erano «un cuore solo e un’anima sola», ci dicono gli Atti degli Apostoli (4, 32). Il bollettino interno della Fraternità San Pio X si intitola Cor unum, che per tutti noi è un ideale comune, una parola d’ordine. Così noi ci allontaniamo decisamente da tutti coloro che hanno voluto approfittare della situazione per seminare la zizzania, ponendo i membri della Fraternità gli uni contro gli altri. Tale spirito non viene da Dio.
DICI: Cosa Le fa pensare la nomina di Mons. Ludwig Müller a capo della Congregazione per la Dottrina della Fede?
Mons. Fellay: L’ex Vescovo di Ratisbona, dove si trova il nostro seminario di Zaitzkofen, non ci apprezza, non è un segreto per nessuno. Dopo l’atto coraggioso di Benedetto XVI in nostro favore, nel 2009, ha dato prova di non voler collaborare nella stessa direzione e ci ha trattati come dei paria! Fu lui che allora dichiarò che il nostro seminario avrebbe dovuto essere chiuso e i nostri studenti sarebbero dovuti andare nei seminari delle loro regioni d’origine, prima di affermare senza mezzi termini: «I quattro Vescovi della Fraternità San Pio X dovrebbero dimettersi tutti»! (si veda l’intervista rilasciata a Zeit on line l’8 maggio 2009).
Ma più importante e più inquietante per noi è il ruolo che deve assumere a capo della Congregazione della Fede, che ha il compito di difendere la Fede e la cui missione propria e di combattere gli errori dottrinali e le eresie. In effetti, diversi testi di Mons. Müller sulla reale transustanziazione del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo, sul dogma della verginità di Maria, sulla necessità per i non cattolici di una conversione alla Chiesa cattolica… sono più che discutibili! Senza alcun dubbio, un tempo essi sarebbero stati oggetto di un intervento del Sant’Uffizio, da cui è sorta la Congregazione della Fede che egli oggi presiede.
DICI: Come si presenta l’avvenire della Fraternità San Pio X? Nella sua battaglia per la Tradizione è sempre sulla linea di cresta?
Mons. Fellay: Più che mai noi dobbiamo conservare effettivamente questa linea di cresta fissata dal nostro fondatore. È una linea difficile da mantenere, ma assolutamente vitale per la Chiesa e il tesoro della sua Tradizione. Noi siamo cattolici, noi riconosciamo il Papa e i Vescovi, ma innanzi tutto dobbiamo conservare inalterata la fede, fonte della grazia del Buon Dio. Di conseguenza bisogna evitare tutto ciò che potrebbe metterla in pericolo, senza tuttavia sostituirci alla Chiesa cattolica, apostolica e romana. Lungi da noi l’idea di costituire una Chiesa parallela, esercitando un ministero parallelo!
Mons. Lefebvre è stato molto chiaro su questo, già trent’anni fa: egli ha solo voluto trasmettere ciò che aveva ricevuto dalla Chiesa bi-millenaria. È tutto quanto noi vogliamo, seguendo le sue orme, poiché è solo così che potremo aiutare efficacemente a «restaurare tutte le cose in Cristo». Non siamo noi che rompiamo con Roma, con la Roma eterna, maestra di saggezza e di verità. Ciò nonostante sarebbe irrealistico negare l’influenza modernista e liberale che si esercita nella Chiesa a partire dal Vaticano II e dalle riforme che ne sono derivate. In poche parole, noi conserviamo la fede nel primato del Pontefice romano e nella Chiesa fondata su Pietro, ma rifiutiamo tutto ciò che contribuisce all’«autodistruzione della Chiesa», riconosciuta dallo stesso Paolo VI già nel 1968.
Si degni la Madonna, Madre della Chiesa, affrettare il giorno della sua autentica restaurazione!

Fonte: DICI n°258

traduzione di http://chiesaepostconcilio.blogspot.it/2012/07/16-luglio-intervista-mons-fellay-dopo.html

lunedì 16 luglio 2012

de Mattei vs. Cavalcoli

Il prof. R. de Mattei interviene nel dibattito sul Concilio



(su Riscossa Cristiana del 13-07-2012) Il dibattito che si è riaperto sul Concilio, dopo la pubblicazione dell’articolo di Paolo Pasqualucci (Il “discorso critico” che la gerarchia non vuol fare. Recensione a: Brunero Gherardini, “Concilio Vaticano II . Il discorso mancato. Ed. Lindau”) e i successivi interventi di Mons. Brunero Gherardini, di P. Giovanni Cavalcoli e di Cristina Siccardi, si arricchisce ora del contributo del prof. Roberto de Mattei, che ci ha inviato la seguente lettera, che volentieri pubblichiamo:
Caro direttore,
associandomi ai recenti interventi di Mons. Brunero Gherardini e della dott.ssa Cristina Siccardi nel dibattito da Lei aperto su Riscossa Cristiana, osservo:
Il rev. padre Giovanni Cavalcoli è un valente teologo, ma sul punto continua a produrre articoli e lettere in cui ripete un unico ritornello: quello secondo cui i documenti del Concilio Vaticano II che hanno come oggetto la fede (o la morale) sono infallibili, o quasi, a causa dell’autorità da cui promanano e della materia di cui trattano. Non basta però ripetere mille volte un’opinione perché sia vera. E l’opinione teologica di padre Cavalcoli è in contrasto con l’insegnamento della buona teologia.
Nessun Concilio, infatti, si occupò di questo argomento come il Vaticano I. La promulgazione del dogma dell’infallibilità avvenuta con la costituzione Pastor Aeternus del 18 luglio 1870, fu preceduta da un’ampia discussione e da una lunga relazione finale in cui mons. Vincenzo Gasser, vescovo di Bressanone, chiarì bene requisiti e limiti dell’infallibilità di un Papa e, di conseguenza, di un Concilio a Lui unito[1].
Perché una dottrina possa essere considerata infallibile – spiegò il Relatore – devono verificarsi tre requisiti, nel soggetto, nell’oggetto e nel modo d’insegnamento:1) che il Papa, con o senza il Concilio a lui unito, parli come capo della Chiesa universale; 2) che la materia in cui si esprime riguardi la fede o i costumi; 3) che su quest’oggetto intenda pronunziare un giudizio definitivo.
Con queste precisazioni mons. Gasser intendeva rispondere alle numerose obiezioni, soprattutto di carattere storico, dei Padri conciliari “anti-infallibilisti”. Essi citavano i casi dei Papi Onorio e Liberio, o del Concilio di Costanza, che, di fatto, si allontanarono dalla fede ortodossa per negare con ciò il dogma dell’infallibilità. Ma ad essi venne opportunamente risposto che i Papi e i Concili che avevano errato non lo avevano mai fatto “ex cathedra”, esercitando la prerogativa della infallibilità. In questi casi, non si verificarono dunque tutte le condizioni richieste per l’infallibilità[2]. Se nei casi dei Papi Liberio ed Onorio, nei documenti, suggellati da approvazione pontificia del Concilio Costantinopolitano I o di Costanza, vi era stato errore, ciò era dovuto appunto alla fallibilità (o non infallibilità) di quei documenti.
Non è sufficiente l’autorità che promana un documento (Papa e/o Concilio), e l’oggetto del Magistero (fede e morale) per definirlo infallibile (o quasi): è necessario anche un terzo elemento, il modo di insegnamento. È sufficiente che manchi uno dei tre requisiti indicati dalla costituzione Pastor Aeternus perché il Magistero non possa essere considerato infallibile, ma fallibile senza che questo significhi necessariamente sbagliato. Coloro che vogliono “infallibilizzare” gli atti del Magistero ragionano esattamente come i negatori dell’infallibilità. Tra questi sembra essere anche il rev. padre Cavalcoli.
Roberto de Mattei
[1] Mansi, vol. 52, coll. 1204-1232; cfr. in particolare col. 1214.
[2] Umberto Betti, La costituzione dommatica Pastor Aeternus del Concilio Vaticano I, Pontificio Ateneo Antoniano, Roma 1961, pp. 644-646.


tratto da: http://www.corrispondenzaromana.it/il-prof-r-de-mattei-interviene-nel-dibattito-sul-concilio/