sabato 2 luglio 2011

il diavolo getta la maschera

      ecco una vicenda che ancora una volta ci aiuta a comprendere come l'Europa si tutta posta "in maligno"



UE: campagna contro l’aborto in Ungheria


Una campagna contro l’aborto in Ungheria lanciata dal partito di centrodestra del premier Viktor Orban scatena la collera della Commissione europea, che l’ha finanziata, pare, a sua insaputa. «Potrei pure capire che non sei pronta per me, ma pensaci due volte e fammi adottare, lasciami vivere!», è il pensiero attribuito a un feto, ripreso con un’ecografia nell’utero della madre e protagonista dei cartelloni disseminati a Budapest da un mese a questa parte. Con il logo Progress (il Programma comunitario per l’impiego e la solidarietà dell’Unione Europea) la violenta campagna anti-aborto è costata 416.000 euro, in gran parte tratti da fondi europei.

«La campagna non è conforme al progetto sottoposto dalle autorità ungheresi e la Commissione Europea chiede di conseguenza alle autorità ungheresi di porre fine a questa parte della campagna e ritirare senza indugio i cartelloni», ha dichiarato il commissario europeo alla Giustizia, la lussemburghese Viviane Reding, durante un dibattito all’Europarlamento.

In caso contrario, «avvieremo procedure per porre fine all’accordo e trarremo le dovute conclusioni, anche in termini finanziari». «La Commissione – ha commentato l’eurodeputata socialista francese Sylvie Guillaume – è molto chiara: utilizzare denaro del programma Progresso o di altra fonte UE per una campagna anti-aborto è un abuso ed è incompatibile con i valori dell’Ue» (TMNews, 10 giugno 2011).



da Corrispondenza romana del 15-06-2011

i sovrani della terra non sono che i luogotenenti del Re del Cielo






 Pubblichiamo di seguito la famosa omelia della Pentecoste 1985 a Chartres, pronunciata da dom Gérard Calvet O.S.B. (1927-2008), fondatore e primo abate del monastero Sainte-Madeleine di Le Barroux.

Nel nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo. Così sia.
Cari pellegrini di Notre-Dame,
Eccovi infine riuniti in compagnia dei vostri angeli custodi, presenti anch’essi a migliaia, che salutiamo con affetto e riconoscenza, al termine di questo ardente pellegrinaggio pieno di preghiere, di canti e di sacrifici, e già parecchi tra di voi hanno ritrovato la veste bianca dell’innocenza battesimale. Quale felicità!
Eccovi riuniti per grazia di Dio nella navata di questa cattedrale benedetta, sotto lo sguardo di Notre Dame de la Belle Verrière, una delle più belle immagini della Santissima Vergine. Immagine davanti alla quale sappiamo che san Luigi è venuto a inginocchiarsi dopo un pellegrinaggio compiuto a piedi nudi.
E questo non ci basta a ridarci il gusto delle nostre radici cristiane e francesi? Vi ringraziamo, cari pellegrini, perché in onore di questa Vergine santa voi vi siate messi in marcia a migliaia, e sono migliaia di voci che escono da migliaia di petti, di tutte le età e di tutte le condizioni, che ci danno questa sera l’immagine la più bella e la più viva della cristianità.
Vi ringraziamo di presentarvi ogni anno come una parabola vivente, perché quando nel corso di questi tre giorni di marcia verso il santuario di Maria voi avanzate pregando e cantando, esprimete la condizione stessa della vita cristiana, che è di essere un lungo pellegrinaggio e una lunga marcia verso il paradiso. E questa marcia finisce nella chiesa, che è l’immagine del santuario celeste.
La vita cristiana è una marcia, spesso dolorosa, che passa per il Golgota, ma rischiarata dagli splendori dello Spirito. E che sfocia nella gloria. Ah, possono perseguitarci, ma non permetto che ci si compatisca. Perché noi apparteniamo a una razza d’esiliati e di viandanti, dotati di un prodigioso potere d’invenzione, ma che rifiuta - è la sua religione - di lasciarsi distogliere lo sguardo dalle cose del Cielo.
Non è forse quello che canteremo tra poco alla fine del Credo?: Et exspecto - e attendo - Vitam venturi saeculi - la vita del secolo futuro. Oh, non un’età dell’oro terrestre, frutto di una supposta evoluzione, ma il vero paradiso di Dio, di cui Gesù parlava quando disse al buon ladrone: “Oggi sarai con me in paradiso”.
Se noi cerchiamo di pacificare la terra, di abbellire la terra, non è per sostituire il Cielo, ma per servigli da scala.
E se un giorno, di fronte alla barbarie montante, dovremo prendere le armi in difesa delle nostre città carnali, è perché esse sono, come diceva il nostro caro Péguy, “l’immagine e l’inizio e il corpo e l’assaggio della casa di Dio”.
Ma anche prima che suoni l’ora di una riconquista militare, non è forse permesso parlare di crociata, almeno quando una comunità si trova minacciata nelle sue famiglie, nelle sue scuole, nei suoi santuari, nell’anima dei suoi bambini?
E parimenti, cari amici, noi non abbiamo paura della rivoluzione: temiamo piuttosto l’eventualità di una controrivoluzione senza Dio.
Questo significherebbe rimanere chiusi nel ciclo infernale del laicismo e della desacralizzazione. Non ci sono parole per significare l’orrore che deve ispirarci l’assenza di Dio nelle istituzioni del mondo moderno. Guardate l’ONU: architettura curata, aula gigantesca, bandiere delle nazioni che sventolano nel cielo. Niente crocifisso!
Il mondo si organizza senza Dio, senza riferimento al suo Creatore. Immensa bestemmia! Entrate in una scuola di Stato: i fanciulli vi sono istruiti su tutto. Silenzio su Dio! Scandalo atroce! Mutilazione dell’intelligenza, atrofia dell’anima - senza parlare delle leggi che permettono il crimine abominevole dell’aborto.
Ciò che è più triste, cari fratelli, e più vergognoso, è che la massa dei cristiani finisce per abituarsi a questo stato di cose. Non protestano, non reagiscono. Oppure, per darsi una scusante, invocano l’evoluzione dei costumi e delle società. Che vergogna!
Vi è qualche cosa di peggio del rinnegamento dichiarato, diceva uno dei nostri, è l’abbandono dei princìpi col sorriso sulle labbra, scivolare lentamente dandosi arie di fedeltà. Non è un odore putrido quello che esala dalla civiltà moderna?
Ebbene, contro questa apostasia della civiltà e dello Stato, che distrugge le nostre famiglie e le nostre città, noi proponiamo un grande rimedio, esteso all’intero corpo, proponiamo l’idea-forza di ogni civiltà degna di questo nome: la cristianità.
Che cos’è una cristianità? Cari pellegrini, voi lo sapete e ne avete appena fatto l’esperienza: la cristianità è un’alleanza del sole e del cielo, un patto sigillato col sangue dei martiri fra la terra degli uomini e il paradiso di Dio, un gioco candido e serio, un umile inizio della vita eterna. La cristianità, cari fratelli, è la luce del Vangelo proiettata sulle nostre patrie, le nostre famiglie, sui nostri costumi e i nostri mestieri. La cristianità è il corpo carnale della Chiesa, il suo baluardo, la sua iscrizione temporale.
Le cristianità per noi francesi è la Francia gallo-romana, figlia dei suoi vescovi e dei suoi monaci. È la Francia di Clodoveo convertito da santa Clotilde e battezzato da san Remigio. È il Paese di Carlo Magno consigliato dal monaco Alcuino, entrambi organizzatori delle scuole cristiane, riformatori del clero, protettori del monasteri.
La cristianità per noi è la Francia del XII secolo, coperta da un bianco mantello di monasteri, ove Cluny e Cîteuax gareggiavano in santità, ove migliaia di mani giunte, consacrate alla preghiera intercedevano notte e giorno per le città temporali.
È la Francia del XIII secolo, governata da un santo re, figlio di Bianca di Castiglia, che invitava alla sua mensa san Tommaso d’Aquino, mentre i figli di san Domenico e di san Francesco si lanciavano sulle strade e nelle città a predicare il Vangelo del Regno.
La cristianità in Spagna è san Ferdinando, il re cattolico; è Isabella di Francia, sorella di san Luigi, che rivaleggiava col fratello in pietà, in coraggio e in intelligente bontà.
La cristianità, cari pellegrini, è il mestiere delle armi, temperato e consacrato dalla cavalleria, la più alta incarnazione dell’idea militare; è la crociata ove l’epopea è messa al servizio della fede, ove la carità si esprime con il coraggio e il sacrificio.
La cristianità è lo spirito laborioso, il gusto del lavoro ben fatto, il nascondersi dell’artista dietro la sua opera. Conoscete il nome degli autori di questi capitelli e di queste vetrate? La cristianità è l’energia intelligente e inventiva, la preghiera tradotta in azione, l’utilizzazione di tecniche nuove e ardite. È la cattedrale, slancio vertiginoso, immagine del cielo, immenso vascello ove il canto gregoriano si eleva unanime per ridiscendere in nappe silenziose nei cuori pacificati.
La cristianità, fratelli miei - siamo sinceri -, è anche un mondo minacciato dalle forze del male, un mondo crudele dove si affrontano le passioni, un paese in preda all’anarchia, il reame dei gigli saccheggiato dalla guerra, gli incendi, la carestia, la peste che semina la morte nelle campagne e nelle città.
Una Francia infelice, privata del suo re, in piena decadenza, votata all’anarchia e al sacco. Ed è in questo universo di fango e di sangue che l’humus della nostra umanità peccatrice, arrossata dalle lacrime della preghiera e della penitenza, fa germogliare il più bel fiore della nostra civiltà, la figura la più pura e la più nobile, lo stelo più diritto che sia nato sul nostro suolo di Francia: Giovanna di Domrémy.
Santa Giovanna d’Arco finirà di dirci che cos’è una cristianità. Non è soltanto la cattedrale, la crociata e la cavalleria; non è solo l’arte, la filosofia, la cultura e i mestieri degli uomini, che salgono verso il trono di Dio come una santa liturgia. È anche e soprattutto la proclamazione della regalità di Gesù Cristo sulle anime, le istituzioni e i costumi. È l’ordine temporale dell’intelligenza e dell’amore sottomesso alla altissima e santissima regalità del Signore Gesù.
È l’affermazione che i sovrani della terra non sono che i luogotenenti del re del Cielo.“Il regno non è a voi, dice Giovanna d’Arco al delfino. È a Messere. - E qual è il vostro Sire? viene chiesto a Giovanna. - È il re del Cielo, risponde la giovane, ed egli ve lo affida affinché lo governiate in suo nome”.
Quale allargamento delle nostre prospettive! Quale visione grandiosa della dignità dell’ordine temporale. In un brano che colpisce, la pastorella di Domrémy ci consegna il pensiero di Dio sul regno interiore delle nazioni.
Perché le nazioni - e la nostra in particolare - sono famiglie amate da Dio, amate a tal punto che Gesù Cristo, dopo averle raccolte e lavate col suo sangue, vuole ancora regnare su di esse con un regno tutto di pace, di giustizia e d’amore che prefigura il Cielo.
Francia, sei fedele alle promesse del tuo battesimo?” chiedeva il Papa cinque anni orsono. Santissima Vergine Maria, Nostra Signora di Francia, Nostra Signora di Chartres, noi vi chiediamo di guarire questo popolo infermo, di rendergli la sua purezza di infante, il suo onore di figlio. Noi vi chiediamo di rendergli la sua vocazione terriera, la sua vocazione rurale, le sue famiglie numerose che si curvano con rispetto e amore sulla terra che le nutre. Questa terra che ha saputo produrre, nel corso dei secoli, un pane onesto e frutti di santità.
Santissima Vergine, rendete a questo popolo la sua vocazione di soldato, di lavoratore, di poeta, di eroe e di santo. Ridateci l’anima della Francia!
Liberateci da questo flagello ideologico che violenta l’anima di questo popolo. Hanno cacciato il crocifisso dalle scuole, dai tribunali e dagli ospedali. Fanno in modo che l’uomo sia educato senza Dio, giudicato senza Dio e che muoia senza Dio.
È dunque a una crociata e a una riconquista che noi siamo chiamati. Riconquistare le nostre scuole, le nostre chiese, le nostre famiglie.
Allora, un giorno, se Dio ce ne fa la grazia, noi vedremo, al termine dei nostri sforzi, venire a noi il volto radioso e tanto amato di quella che i nostri avi chiamavano la dolce Francia. La dolce Francia, immagine della dolcezza di Dio.
Ci sarà consentito, questa sera, davanti a migliaia di pellegrini, di parlare della dolcezza di Dio?
È un monaco che vi parla. E la dolcezza di Dio, voi lo sapete, ricompensa al di là di ogni previsione le battaglie che i suoi servitori combattono per il Regno.
Dolcezza paterna di Dio. Dolcezza del crocifisso. O dolce Vergine Maria, avvolgete in un manto di dolcezza e di pace le nostre anime che affrontano dure battaglie.
L’anno prossimo è a tutta la cristianità che noi diamo appuntamento ai piedi di Nostra Signora di Chartres, che sarà ormai la nostra Czestochowa nazionale.
Lo Spirito Santo vi illumini, la santissima Vergine vi protegga e l’esercito degli angeli vi protegga. Così sia

venerdì 1 luglio 2011

Il Sacro Cuore di Cristo Re

L’eresia che caratterizza lo spirito dell’ordine società, potrebbe essere facilmente chiamata laicismo, in quanto vuol livellare il divino ed il soprannaturale alla misura delle istituzione umane, e tenta di far rientrare la Chiesa nell’orbita delle pure energie statali. Di fronte al giudaismo ed alla massoneria che persistono ancora nel loro odio furibondo contro Gesù: tolle, tolle, crucifige, i cattolici infetti di questo laicismo e liberalismi o cercano, come Pilato, una via mezzo, e sono pronti a rimandare assoluto Cristo, purchè prima si lasci strappare il diadema sovrano che gli ricinge la fronte, e si contenti di vivere soggetto al nume di Cesare.
Contro questo doppio insulto sacrilego il Pontefice Supremo (Pio XI) protesta in faccia al cielo e alla terra che non v’è altro Dio che il Signore, ed istituisce la doppia festa di Cristo Re e dell’Ottava  del Sacratissimo Cuore di Gesù. L’una è la solennità della potenza, l’altra quella dell’amore.

Card. Schuster, Liber Sacramentorum, vol V, 1930, della festa del Sacratissimo Cuore di Gesù.

martedì 28 giugno 2011

"Dopo Paolo VI, il Papa dalla coda di paglia", il seguito di "Habemus Papam" di Walter Martin

RECENSIONI LIBRARIE
Habemus Papam. Il fumo di satana e l’uomo di Dio

«L’eco di quella celebrazione, pur tanto discreta, si diffuse rapidamente, e con un crescendo impressionante: dal Vaticano raggiunse i vari dicasteri ecclesiastici di Roma; da Roma raggiunse e ferì ai quattro punti cardinali dell’orbe terracqueo, tutti i prelati più rinomati, che di fronte a tanta audacia integrista e retrograda, impallidirono di santo sdegno.

Quel papuncolo [ovvero… Pio XIV, il protagonista “restauratore della Chiesa”] di transizione aveva osato celebrare, e in pubblico, la Messa pre-riforma, la Messa d’altri tempi, la Messa quale era stata celebrata da san Clemente a Roma e poi in esilio nel Chersoneso; quale era stata celebrata da sant’Ireneo a Smirne e poi da lui diffusa in missione tra i Celti delle Gallie; la Messa quale era stata celebrata dai santi dottori Agostino e Gerolamo in Asia e in Africa; la Messa che san Leone Magno, a Natale, celebrava tre volte; la Messa adornata di nuovi canti da san Gregorio Magno, come già aveva fatto sant’Ambrogio; la Messa quale era stata diffusa tra i pagani convertiti dell’Irlanda, dell’Inghilterra e della Germania dagli apostoli Agostino e Patrizio, e dal santo martire Bonifazio; quella Messa, quale era stata amata, desiderata e devotamente celebrata dai santi Bernardo e Bonaventura, ed arricchita di cantici immortali da san Tommaso d’Aquino; quella Messa che aveva ispirato cento polifonie, tra le quali la Missa brevis a Pier Luigi da Palestrina, e la Missa solemnis a Ludwig Beethoven; quella Messa che dopo Cristoforo Colombo si era diffusa nel lontano Occidente, e con san Francesco Saverio fino all’Oriente più estremo; la Messa per la quale aveva imporporata la porpora di cardinale con il proprio sangue Giovanni Fisher, vescovo di Rochester, e per la quale erano morti i Martiri inglesi a decine, a centinaia, a migliaia; la Messa delle estasi di santa Caterina da Siena e di santa Teresa d’Avila; la Messa di san Giovanni della Croce e di santa Margherita Maria Alacoque; la Messa insomma di tutti i Santi, di tutti i Martiri, di tutti i Confessori, di tutte le sante Vergini finora canonizzati. Che orrore, che scandalo! Quel papuncolo aveva osato tanto!» (pp. 223-224).

È uno dei tanti passaggi belli, graffianti e ad un tempo commoventi che si trovano nel romanzo storico-utopico del grande sacerdote e teologo salesiano, don Giuseppe Pace (1911-2000) (Habemus Papam. Il fumo di satana e l’uomo di Dio, Fede e Cultura, Verona 2011, pp. 485, euro 24).

Il romanzo fu scritto, evidentemente, dopo lo sbandamento dottrinale, morale e liturgico che ha seguito, pedissequamente, il Concilio Vaticano II e la sua generale applicazione. Nella prefazione, gli ottimi Mario Palmaro e Alessandro Gnocchi rivelano che fu l’associazione Una Voce di Torino che, tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli ottanta, stampò il romanzo in edizione extracommerciale con il titolo di Pio XIV. «L’autore […] scelse di usare lo pseudonimo di Walter Martin» (p. 7). In una breve Nota storica introduttiva, Carlo Raselli, che fu vicino al salesiano, ricorda che don Pace, scrittore di vaglia e polemista, negli anni ’70 «continuava a celebrare la Santa Messa di rito antico (…) e, quando accanto a Una Voce apparve il piccolo periodico “Notizie”, ne divenne il principale collaboratore con lo pseudonimo di Fra Galdino da Pescarenico.

I suoi articoli sulla difesa della Tradizione e della Santa Messa erano di grande conforto per i fedeli» (pp. 9-10). Il cuore del romanzo, che raccomandiamo ai lettori, consiste nell’opera di ripresa della fede e della disciplina in una Chiesa che sembrava (ma non era) abbandonata e desolata dallo Spirito Santo. Si tratta di un testo scorrevole, godibile e nutriente dal punto di vista spirituale. Chi lo leggerà con passione si appassionerà anche alla santa intrapresa di Pio XIV e cercherà poi di trasformare il romanzo in storia e, Deo adiuvante, in storia contemporanea

da Corrispondenza romana  del 23 giugno 2011

Non tutti sanno che fu scritto anche il seguito della storia che continua con Pio XV e giunge fino al martirio. Si tratta di un altro piccolo capolavoro: fu pubblicato con il titolo scialbo di "Dopo Paolo VI, il Papa dalla coda di paglia": se Fede e Cultura pubblicherà il seguito come ci auguriamo scoprirete che il Papa dalla coda di paglia non è Paolo VI, come si sarebbe indotti a credere, ma Pio XV e scoprirete anche il perché....