mercoledì 8 dicembre 2010

davanti alle macerie fumanti della nuova pentecoste...

A proposito del libro di Roberto de Mattei, Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, Lindau, Torino 2010

Racconto magistrale, svolta storica
di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro

Pare strano perché è la prima volta che accade, ma, dopo dei cenni di vulgata progressista sul Vaticano II e il suo spirito, l'effetto è innegabilmente benefico: saliti in cima alle 632 pagine del saggio di Roberto de Mattei, si può finalmente guardare negli occhi da pari a pari la decennale produzione sull'argomento messa in circolazione dalla scuola di Bologna.

Nello studio dello storico romano ci sono documenti, metodo e criteri per misurarsi senza complessi di inferiorità con quella gioiosa macchina da guerra storiografica che, guidata prima da Giuseppe Alberigo e poi da Alberto Melloni, aveva prodotto fino a oggi l'unica seria e organica ricostruzione del fenomeno conciliare. Ricostruzione tendenziosa, ideologica e persino eversiva, certo, ma fatta da gente che il mestiere di storico. innegabilmente, lo conosce bene.

Oltre quarant'anni dopo la chiusura del concilio e davanti alle macerie fumanti della nuova Pentecoste, questo merito varrebbe da solo l'impegno di leggere il saggio di De Mattei. Ma non è il solo perché, man mano si scorrono pagine e capitoli, si fanno più chiari i termini di un dibattito ben lontano dall'essere concluso con la semplice recezione del concetto di "ermeneutica della continuità" che illude tante anime belle ma poco pratiche di mondo.

Il discorso alla curia con cui, nel 2005, Benedetto XVI ha parlato della contrapposizione tra due ermeneutiche del concilio, lungi dall'aver chiuso il discorso, ha di fatto aperto il confronto tra due visioni inconciliabili della chiesa. L'opera storica di De Mattei si pone autorevolmente in questo agone, accanto a quella filosofica di un Romano Amerio e a quella teologica di un Brunero Gherardini.

E, dopo averla letta senza paraocchi, riesce difficile immaginare che, nello scontro dichiarato con la scuola progressista, possano rimanere in piedi quelle vie di mezzo lacerate tra la constatazione del disastro e l'ossessiva ripetizione del mantra secondo cui la ragione della crisi consisterebbe nella mancata applicazione integrale del concilio.

Alla luce dei fatti narrati in quest'opera, risulta fin troppo evidente che la "continuità" c'è o non c'è, nonostante il tentativo di negare l'esistenza di una vera rottura, almeno in alcuni passaggi dei testi conciliari. De Mattei mostra con perizia che i problemi di stesura e di lettura dei testi conciliari nascono ben prima dell'assise vaticana e sono frutto di un teologia e di una filosofia votate alla "rottura" con il passato.

Finalmente siamo davanti alla contesa tra chi sostiene che, se il Vaticano II ha un difetto, è quello di non essere addirittura un Vaticano III e chi sostiene che, se di difetto si tratta, è quello di averne poste le premesse. Piaccia o non piaccia, questo è il terreno della contesa e questa è la materia del contendere. Ma sbaglierebbe chi conferisse alle due posizioni una valutazione speculare del concilio inteso come "rottura", vista in senso positivo o in senso negativo a seconda delle lenti utilizzate.

Lo è effettivamente e dichiaratamente nella lettura progressista, dove il concilio viene inteso come "evento" fondante della "nuova Pentecoste". Ma De Mattei, pur mettendo in evidenza pericolose spinte eversive dentro e fuori l'aula conciliare, non parla mai di un soggetto ìn qualche modo nuovo: togliendo dal suo orizzonte storiografico il concetto mitico di "evento conciliare", elimina automaticamente quello di "nuova chiesa".

Le due valutazioni non sono speculari poiché non si tratta solo di sostituire un segno meno là dove altri messo avevano un segno più, in quanto i soggetti presi in considerazione sono diversi per natura: una chiesa completamente nuova secondo la scuola di Bologna, quella di sempre secondo lo storico romano.

Questo studio segna dunque una svolta storica: il passaggio dall'era mitologica alla stagione della critica razionale. Pertanto non teme di documentare l'esistenza di posizioni divergenti e di tensioni che hanno dilaniato i lavori conciliari, troppo a lungo occultate da mani pietose.

da Il Foglio del 7 dicembre 2010

lunedì 6 dicembre 2010

Concilio Vaticano II: una storia mai scritta

Affrontare il tema del Concilio Vaticano II è un lavoro complesso: al di là della narrazione delle vicende dell’assise vescovile, durata dall’11 ottobre 1962 all’8 dicembre 1965, è fondamentale considerare l’evento nel suo quadro storico, tenendo conto del periodo in cui si svolse (la guerra fredda) e di quello in cui espresse le proprie conseguenze (la contestazione del Sessantotto).

L’ampio e denso saggio (oltre 600 pagine e 2400 note) di Roberto de Mattei, Presidente della Fondazione Lepanto e docente di Storia della Chiesa presso l’Università Europea di Roma, affronta il Concilio non da un punto di vista teologico, ma storico, approfondendo il periodo precedente, analizzandone lo svolgimento e considerandone le conseguenze (Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, Lindau, Torino 2010, p. 630, € 38). Un approccio scrupolosamente storico, quindi, e una storia “mai scritta”, come indica il sottotitolo, proprio perché intende ordinare, comprendere e narrare le vicende del Concilio «in una filosofia della storia che, per lo storico cattolico, è innanzitutto una teologia della storia» (p. 23).

Perciò de Mattei apre il suo saggio ripercorrendo le vicende del modernismo, eresia sempre presente (come una sorta di “fiume carsico”, secondo l’efficace immagine proposta) nella Chiesa del XX secolo, che l’azione di San Pio X poté mettere allo scoperto, ma non, evidentemente, debellare. Durante il pontificato di Pio XII il modernismo riaffiorò sotto la triplice specie dei movimenti biblico, liturgico ed ecumenico e sferrò il suo attacco all’ala “conservatrice” della Curia durante il Conclave che nel 1958 elesse Giovanni XXIII, considerato, assieme a colui che sarebbe divenuto il suo successore, Giovanni Battista Montini, esponente dell’ala “progressista”.

A soli tre mesi dall’elezione il nuovo Papa propose il Concilio, quasi a sorpresa poiché l’ipotesi era stata presa in considerazione dai due suoi predecessori, ma era stata scartata per evitare una contrapposizione e l’inevitabile, conseguente scontro tra le due anime (conservatrice e progressista) della Chiesa. Di conseguenza suscitò non poco stupore la decisione di Giovanni XXIII – che stupì innanzitutto lui stesso – di indire il Concilio: questo sarebbe dovuto essere “ecumenico”, nel senso di aperto a tutti i vescovi (circa tremila) dell’ecumene cattolico, ma non anche a rappresentanti di altre religioni; curiosamente, nel corso dei lavori, a prevalere fu proprio il rispetto verso le altre fedi, ad esempio con la vittoria dei “minimalisti” sui “massimalisti” in questioni mariane (i “massimalisti” non riuscirono a far proclamare Maria “Mediatrice di tutte le grazie” come avrebbero voluto) e con l’inizio delle ammissioni di colpe e delle conseguenti richieste di perdono ai “fratelli separati”, inaugurate da Paolo VI ed espresse in maniera ambigua, cioè senza distinguere chiaramente tra Chiesa (infallibile) e uomini di Chiesa (ovviamente fallibili), instillando di conseguenza nei fedeli il dubbio che anche la Sposa di Cristo potesse sbagliare.

Altra grave anomalia del Concilio, soprattutto tenendo conto di quelli che erano stati i “vota” preparatori, fu la mancata condanna del comunismo, apparentemente per ragioni di opportunità politica, ma senza tenere conto che il silenzio del Concilio su un problema di tale portata sarebbe equivalso nella mente dei fedeli «ad una tacita abrogazione di tutto quanto gli ultimi Sommi Pontefici [avevano] detto e scritto contro il Comunismo» (p. 496).

Dopo aver analizzato le vicende dei lavori conciliari, in cui il ruolo “assembleare” divenne sempre maggiore, de Mattei passa in rassegna alcuni eventi post-conciliari, quasi una diretta conseguenza dell’assise vescovile: in particolare la separazione da Roma della Chiesa olandese (quella che aveva espresso un Nuovo Catechismo olandese in forte contrasto con quello ufficiale, per non dire eretico) e l’aperta contestazione, non più da parte di soli teologi, ma anche di membri dell’episcopato, dell’enciclica montiniana Humanae vitae.

Il Concilio viene paragonato, per la sua portata nella vita ecclesiale, alla Rivoluzione francese: i cambiamenti introdotti furono (e sono tuttora), in effetti l’equivalente della rivoluzione dei costumi del ’68, se non di quella francese del 1789. Ed inquietante è il parallelo che sembra venir fuori dalle pagine di Roberto de Mattei, che rileva come la riforma attuata dal Concilio sembri ripercorrere alcuni passi della Rivoluzione francese: una fase preparatoria con i “vota” dei Cardinali che ricordano i cahiers de doléance dell’Ancien Régime; i lavori conciliari come gli Stati Generali che si trasformano in Assemblea Costituente, stravolgendo i presupposti di rinnovamento nella continuità; l’attacco ai tradizionalisti, costretti per obbedienza al Papa a firmare anche i documenti che avevano combattuto, sui quali si esercitò una sorta di terrorismo psicologico che sarebbe durata a lungo.

Ai nostri giorni le conseguenze del Vaticano II sono tanto notevoli che lo stesso Benedetto XVI di fronte alla «auto-distruttiva realtà post-conciliare» (p. 11) ha ammesso il caos provocato dal Concilio, paragonandolo ad una battaglia navale combattuta durante una tempesta notturna (riprendendo un’immagine di San Basilio a proposito del periodo successivo al Concilio di Nicea del 325) e sostenendo che durante i lavori si sia passati «dall’autocritica all’autodistruzione» (p. 12), come aveva del resto già scritto Paolo VI. Durante i lavori e – va aggiunto – soprattutto nel periodo successivo, quello dell’applicazione.

Infatti i documenti elaborati dal Concilio sono meno innovatori di quella che è stata la loro applicazione ed esiste una evidente discrepanza tra “documenti del Concilio” e “spirito del Concilio”. I primi (che pochi hanno letto) sarebbero infatti il frutto di compromessi per raggiungere l’unanimità; lo spirito (che invece tutti ben conoscono) ha successivamente cercato di andare ben oltre quanto attestato nei documenti per esprimere (sono parole dell’attuale Pontefice) una «intenzione profonda, sebbene ancora indistinta» (p. 13n) del Concilio. Dal che si deduce che mancò una vera maggioranza o almeno una maggioranza tanto ampia da far approvare senza modifiche i documenti proposti: solo in un secondo tempo, quando si trattò di applicare il Concilio, anziché la “lettera” venne appunto proposto – se non imposto – lo “spirito”.

E che l’interpretazione di tale “spirito” abbia travalicato anche le aspettative di un Pontefice aperto alle innovazioni come Paolo VI, è testimoniato dal suo famoso riferimento al “fumo di Satana”. Notevole il particolare ambito in cui uscì con tale espressione, cioè l’omelia della festa dei santi Pietro e Paolo, il 29 giugno 1972: nella ricorrenza dell’Apostolo di cui era successore, il Pontefice stava parlando appunto della situazione della Chiesa, quando affermò esplicitamente «di avere la sensazione che da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio» (p. 556).

Va inoltre sottolineato come la maggior parte dei fedeli non abbia una conoscenza diretta dei documenti redatti, ma conosca il Concilio attraverso la rappresentazione fornita dai media. Ed in effetti già i contemporanei colsero il carattere eccezionale del Concilio parlando di «svolta storica», di «fine della Controriforma», «del Medioevo» o «dell’era costantiniana», a seconda dei punti di vista (p.19).

Inoltre, uno degli aspetti più evidenti della distorsione legata al Vaticano II è la percezione di un suo inesistente “primato” sugli altri venti precedentemente celebrati, come se li abrogasse e sostituisse tutti: dovrebbe essere invece il contrario, poiché fu solo pastorale e non dottrinale, come ricorda uno dei suoi più validi studiosi, mons. Brunero Gherardini, sottolineando che «le sue dottrine, non riconducibili a precedenti definizioni, non sono né infallibili, né irreformabili, e dunque nemmeno vincolanti; chi le negasse non per questo sarebbe formalmente eretico. Chi poi le imponesse come infallibili ed irreformabili andrebbe contro il Concilio stesso» (p. 15).

Tornando alla storia – e lasciando, quindi, ad altri l’interpretazione teologica – del Concilio, Roberto de Mattei specifica che distinguere tra dimensione teologica e dimensione storica, quella che ha inteso affrontare, non significa separare: certo rimane il problema che l’ermeneutica della continuità rischia di rimuovere, assieme ad una concezione teologica che ritiene errata, quasi anche il fatto storico di cui si discute, ignorandolo e di fatto lasciandone la ricostruzione agli studiosi vicini all’ermeneutica della discontinuità. Per questo la Storia del Concilio edita da Lindau è una “storia mai scritta”, non tanto e non solo per le nuove testimonianze, quanto per l’inedita interpretazione e metodologia d’indagine. (G.d.A.)
CR n.1169 del 4/12/2010