venerdì 10 settembre 2010

l'invencible armada di Benedetto

Papismi
di Francesco Agnoli

Benedetto XVI è un pontefice che preferisce ridurre al minimo i suoi viaggi, per poter governare meglio la barca di Pietro, senza essere costretto a delegare troppo.

Ciononostante il Papa compirà, a breve, un viaggio delicatissimo in Inghilterra. Non sarà un’esperienza facile. Da mesi e mesi i suoi nemici gli preparano una accoglienza burrascosa. Il fatto è che l’Inghilterra, per un successore di Pietro, è una terra di leoni. Dall’epoca dello scisma di Enrico VIII, infatti, il Papa è identificato col nemico del paese e i cattolici sono gli odiati “papisti”. Fu proprio Enrico a inaugurare la politica della calunnia come arma principale per difendere la sua decisione di umiliare Caterina d’Aragona. Il popolo infatti era contrario sia al ripudio della sposa, sia allo scisma. Occorreva convincerlo, in un modo o nell’altro. Molti nobili e borghesi furono comperati dal sovrano che cedette loro, per pochi soldi, tutte le proprietà della chiesa cattolica confiscate. Ma la gente fu più difficile da persuadere. La politica adottata fu allora quella di obbligare teologi, sacerdoti, dignitari vari, a prendere posizione per il re, scrivendo libri, saggi, drammi teatrali, in cui il Papa veniva presentato come un avido monarca desideroso di impadronirsi dell’Inghilterra e come un nemico del Vangelo, tirato a destra e a sinistra perché risultasse filo-Enrico VIII. Da allora in poi, complici le guerre con la cattolica Spagna, il Papa nemico del paese divenne un dogma della chiesa di stato anglicana. Per capire come possano essere cresciute generazioni di inglesi, basta leggere “La chiesa cattolica” di G.K.Chesterton, recentemente ripubblicato da Lindau. Per spiegare la sua conversione al cattolicesimo, il celebre giornalista mette in luce due aspetti. Il primo: la difficoltà per un inglese di vincere gli infiniti pregiudizi contro i cattolici disseminati qua e là, in sermoni, romanzi, riviste, che li portano a un vero e proprio “terrore del papismo”. La seconda: la difficoltà per un anglicano di essere nel contempo patriota e aperto a una fratellanza universale. Proprio analizzando lo strettissimo legame tra patriottismo inglese, corona e chiesa anglicana, Chesterton conclude: “In questo senso il protestantesimo è patriottismo, ma per sfortuna non è nient’altro. Parte da lì e non va mai oltre”. Il cattolico universalista considera l’amore per la patria un dovere dell’uomo, ma “non il suo unico dovere, come avveniva invece nella teoria prussiana dello stato e, troppo spesso, in quella britannica dell’impero”.

Da Newman a Marshall

Detto questo, bisogna ricordare che verso la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, la Gran Bretagna ha conosciuto moltissime conversioni alla chiesa di Roma: da Newman, a Chesterton, allo scrittore Bruce Marshall, autore dello splendido “A ogni uomo un soldo”, sino a R.H.Benson ed Evelyn Waugh… Tutti questi personaggi hanno sentito il fascino di Roma, della sua universalità, evidente nei suoi dogmi e soprattutto nella sua liturgia latina. Tutti costoro hanno amato nella chiesa cattolica la sua libertà da un particolare potere politico, insita nella sua universalità, così lontana dal pregiudizio velatamente razzista presente nella cultura britannica. Nei loro libri compaiono spesso preghiere in latino, formule antichissime della fede cattolica, che stanno al di fuori del tempo e dello spazio, unendo ogni singolo fedele con i suoi fratelli, di ogni luogo e di ogni tempo. Poi, in seguito al Concilio Vaticano II, il flusso di conversioni in Inghilterra si è arenato, per riprendere solamente, e vigorosamente, dopo l’elezione al soglio pontificio di Benedetto XVI, il motu proprio sulla messa antica e una nuova concezione dell’ecumenismo. Così abbiamo assistito a un fenomeno che per un cattolico è provvidenziale: moltissimi anglicani, dopo secoli e secoli, hanno chiesto di rientrare nella chiesa di Roma! Questo ritorno in massa è stato favorito senza dubbio da più elementi. Anzitutto dal graduale dissolversi della vecchia mentalità britannica. L’Inghilterra non è più, da tempo, un impero che governa sui mari, né il paese che afferma di prendersi sulle spalle “il fardello” della civilizzazione degli altri popoli. Una religione patriottica oggi, nel mondo anglosassone, è sempre più improponibile. In secondo luogo è la società inglese che sta dissolvendosi. Uno straordinario osservatore del mondo anglosassone, Gianfranco Amato, autore di “Un anno alla finestra”, ricorda per esempio che oggi in Inghilterra il nome più diffuso tra i neonati maschi di Londra è Mohamed, mentre gli aborti sono ben 500 al giorno. Numeri che dicono della graduale sparizione di un popolo. Che avviene mentre le gerarchie anglicane non sanno opporre nulla al nichilismo imperante, ma anzi si mettono al traino.

Inevitabile che mentre l’odio contro Benedetto XVI monta, cresca anche il numero dei britannici che cercano una fede solida, vera, che non ceda al mondo. “La chiesa cattolica – scriveva Chesterton – è l’unica in grado di salvare l’uomo da una schiavitù degradante, quella di essere figlio del suo tempo”. Per questo lotta e sopravvive. Cambiati i tempi, qualcuno inizierà ad accorgersi che i vecchi dogmi di un’epoca erano fasulli e transitori, mentre il Vangelo rimane sempre “nuovo”, e attuale.

Tratto da Il Foglio del 9 settembre 2010


mercoledì 8 settembre 2010

pensieri fini

Dal blog sivan2.blogspot.com traiamo questo interessante intervento: Se poi alla parola "democrazia" sostituiamo la parola "chiesa", possiamo vedere quanto è grave l'attuale crisi...

Dittatura dell’opinione

«In una democrazia liberale
non può esserci l'eresia,
perché non c'è l'ortodossia.»
Gianfranco Fini

In questa frase mi pare sia sintetizzata tutta l’essenza del liberalismo e del democratismo silloniano.

L’errore di fondo liberale è appunto questo: nella definizione di libertà c’è spazio solo per l’arbitrio ed il primato della volontà, sganciata dall’intelletto - ripensato peraltro come serbatoio di opinioni private, sottoposte ad un incessante e sterile discussionismo.

Non v’è più un centro di autorità, che garantisca - almeno nelle intenzioni - l’adeguamento di ogni umana riflessione alla verità oggettiva delle cose, alla realtà storica e fattuale.

Contrariamente a quanto affermato da Fini, esiste un’ortodossia oggettiva a fondamento della realtà, come dimostrato dai più grandi autori della filosofia e della teologia classica.

Silvio (e non è uno scherzo n.d.r.)


martedì 7 settembre 2010

Dunque, tu sei immortale...

La dimostrazione dell'immortalità
di Cornelio Fabro


È sintomatico che non solo la narrativa e la poesia, ma anche l'antropologia che sta facendo furori e la filosofia che ha rinunciato ai suoi antichi splendori, ignorino oggi il problema dell'immortalità che domina il pensiero classico a partire da Socrate e sta al centro del Messaggio cristiano di salvezza con la Risurrezione di Cristo che farà il giudizio finale di tutti gli uomini.

La morte è un fatto, un'evidenza quotidiana in cui c'imbattiamo ad ogni passo, in ogni tempo e luogo; perciò la morte non ha bisogno di dimostrazione. Non solo muoiono le piante e gli animali, ma muore e deve morire anche l'uomo. Anche l'uomo infatti è composto di anima e corpo: è vero che l'anima umana è spirituale, ma il corpo è corruttibile cioè soggetto a malattie, ferite, traumi di ogni genere… La Sacra Scrittura insegna che all'uomo era stato conferito il dono dell'incorruttibilità ovvero dell'immortalità naturale se fosse rimasto fedele a Dio, ma il peccato dei progenitori dissipò il mirabile incanto e riportò l'uomo alla sua condizione originaria di essere fragile, debole, mortale. L'uomo quindi è di per sé soggetto alla morte (ch'è ora diventata anche pena per il peccato) la quale è un evento di per sé naturale come separazione dell'anima dal corpo corruttibile; ma se muore l'uomo in quanto composto di corpo e anima cioè di materia e spirito, non muore lo spirito. Per S. Tommaso la prova del fatto dell'immortalità dell'anima è apodittica; è quanto al modo di questa immortalità cioè del vivere dell'anima separata che S. Tommaso avanza la sua ipotesi per continuare e integrare il discorso della filosofia.

La prova filosofica dell'immortalità è infatti, secondo S. Tommaso, di un'evidenza solare ed è accessibile a chiunque. Eccola nei suoi termini essenziali. L'uomo pensa ed ama, afferra cioè i valori universali della verità e della bellezza, desidera la bontà e la felicità senza limiti di spazio e tempo e questo dimostra la spiritualità positiva ch'è incorruttibilità dell'anima ossia che l'anima umana, a differenza degli animali, non segue la sorte del corpo che si corrompe e muore. L'anima umana, perché è spirituale, non muore.

È questo anche il nucleo filosofico della dimostrazione dell'immortalità comune alla filosofia greca (platonismo) ed al pensiero cristiano: il nucleo è la realtà del pensiero e l'evidenza della libertà. Ma S. Tommaso avanza per suo conto una dimostrazione dell'immortalità di rara profondità e bellezza, fondata sulla sua nozione di atto di essere (esse) che appartiene all'anima umana in proprio, a differenza degli animali nei quali l'atto di essere compete al composto di anima e corpo così che, dissolta la composizione, anche l'anima non può più esistere e muore col corpo.

Ed ecco allora l'argomento metafisico: mentre per le altre sostanze materiali l'esse appartiene al composto cioè alla sintesi di anima e corpo e dissolta la sintesi con la morte l'anima «ritorna nella potenza della materia»; per l'uomo che gode di una «forma intellettiva» e perciò sussistente ch'è appunto l'anima spirituale, l'esse compete ‘prima’ all'anima e questa poi lo comunica al corpo. Così alla morte, l'anima separandosi dal corpo, riprende per sé lo esse che aveva comunicato al corpo (cf. p. es. S. Th. I, 76, 1 e ad 4, 5, 6); per S. Tommaso poi l'esse aderisce alla forma spirituale in modo necessario. Infatti se può dirsi «contingente a parte ante» ogni cosa creata fuori di Dio e quindi anche gli Angeli e le anime umane, «a parte post» sono contingenti solo le realtà corporali soggette a generazione e corruzione. Le creature spirituali devono essere riconosciute, secondo S. Tommaso, «necessarie» ch'è equivalente ad «immortali» cioè dotate dell'atto di essere in modo immutabile. S. Tommaso impiega a questo proposito un'analogia assai efficace per evidenza e forza: per lui l'esse aderisce alla forma e sostanza spirituale «come la rotondità aderisce al cerchio» (S. Th. I, 50, 5) ossia come prima proprietà sul piano metafisico e prima rivendicazione sul piano esistenziale.

Infatti – ed è l'argomento introduttivo del precedente, già accennato – l'anima intellettiva si attua nella operazione propria dell'intendere e del volere indipendentemente dal corpo, a differenza del conoscere soltanto sensibile degli animali. Ma operari sequitur esse, quindi deve avere lo esse indipendente dal corpo. Per questo l'anima «…apprehendit esse absolute et secundum omne tempus» – di qui il desiderio dell'immortalità che giace nel fondo di ogni coscienza (cf. S. Th. I, 75, 6 – che va letto per intero e nel contesto). La fiera lotta che S. Tommaso ha condotto per tutta la vita contro l'Averroismo ha qui il suo profondo significato: la sua tesi sull'immortalità è perciò positiva e si salda intimamente con le sue posizioni-chiave della teoria della conoscenza e della metafisica.

Stupendamente Kierkegaard, ricollegandosi al kerigma cristiano dei novissimi, connette in un nesso insolubile il pensiero della morte e dell'immortalità, chiarificando insieme il vincolo fra la purificazione interiore e l'esigenza dell'immortalità.

«Dunque, tu sei immortale; non t'incomodare con dubbi, e neppure a trovare la prova. Tu sei immortale, tu passi all'al di là – e l'eternità non è il paese delle ombre ma della chiarezza, della trasparenza, dove tutto divien trasparente: e così lo è anche la confessione. Pensaci bene: tu stai davanti a Dio, ed Egli è tutto chiarezza, abita in una luce inaccessibile (I Tim. 6, 16), in una luce che tutto penetra. Oh, cogli il momento per manifestarti da te completamente. Dopo sarà troppo tardi, quando nell'eternità tu sarai costretto a essere manifesto completamente» (Diario 1850-51, X3 A 711 = 3299).

Immortale è allora l'anima fin dalla nascita. Ma immortale come aspirante alla felicità eterna l'uomo diventa con la decisione libera ch'egli prende «davanti a Dio» nella vita del tempo di seguire Cristo, Figlio di Dio e Salvatore del mondo.

(1971)





lunedì 6 settembre 2010

non prevalebunt

ATTACCO A RATZINGER: CUI PRODEST?
di Francesco Colafemmina

Che il Papa sia sotto attacco sin dalla sua elezione al soglio di Pietro nell'aprile del 2005, credo sia ormai evidente a tutti. Nessuno, tuttavia, aveva ancora raccolto in maniera sistematica ed approfondita la lunga serie di agguati, colpi bassi, vere e proprie campagne mediatiche ostili, volti a indebolire il pontificato di Papa Benedetto XVI, succedutisi durante gli ultimi cinque anni. Ci hanno pensato i vaticanisti Paolo Rodari e Andrea Tornielli con il loro nuovo saggio dal titolo "Attacco a Ratzinger".

Il volume racconta da un punto di vista estremamente obiettivo tutti i principali "incidenti" con cui l'attuale pontefice ha dovuto man mano fare i conti. Incidenti il cui riverbero o la cui stessa creazione in ambito mediatico, ne hanno favorito l'impatto piuttosto negativo sulla percezione generale dello stato di salute della Chiesa Cattolica e sul giudizio dei fedeli. I due giornalisti non vogliono però ricorrere alle facili strade del complottismo. Pertanto nessuna illazione o supposizione viene avanzata direttamente sulle cause occulte o palesi di questi attacchi a intervalli costanti. Una ragione in più per sforzarsi di comprendere il senso dei fatti descritti nella loro inchiesta.

1. Il Papa è da sempre sotto attacco? Come ha ricordato recentemente anche lo storico Alberto Melloni, già conferenziere del Grande Oriente d'Italia, nonché dossettiano d'annata, la "compassione" indirizzata verso la figura del Pontefice parrebbe costituire una sorta di archetipo psicologico del fedele cattolico. In fondo, il Papa è o non è il catalizzatore umano di quella "inadeguatezza" della Chiesa che è causa di conflitti ed attacchi?

Purtroppo però la questione non è così semplice. Gli attacchi evidenziati da Tornielli e Rodari costituiscono un oggetto di grande interesse per una duplice ragione: sono singolari per la loro intensità, frequenza e qualità, e sono volti a screditare la figura dell'attuale pontefice prima ancora che l'intera Chiesa Cattolica.

E' per queste due ragioni che gli attacchi a Ratzinger costituiscono un unicum nella storia recente del papato. D'altronde, anche in epoche più remote, ma sempre "moderne", gli attacchi a Papi come Pio VI e Pio IX, erano mossi da specifici ambienti politici e settari. Ma a quell'epoca i Papi potevano ancora contare sul supporto di Nazioni cattoliche, di un clero florido e credibile, di una società non secolarizzata e ancora fortemente ancorata alla fede. Oggi il completo mutamento dei costumi sociali, degli assetti politici ed istituzionali mondiali, nonché della forza umana all'interno della Chiesa (calo di vocazioni e arretramento della fede specie in Occidente), comporta una ancor più palpabile unicità degli attacchi rivolti a Papa Ratzinger.

Converrà perciò capire per quali misteriose ragioni questi attacchi siano rivolti alla Chiesa non direttamente, bensì indirettamente, ossia colpendo la persona stessa di Joseph Ratzinger. Dovremmo quindi domandarci: a. Perché questo Papa è più attaccato dei suoi predecessori? b. Perché si attacca così fortemente proprio questo Papa?

La prima domanda vuole stabilire un confronto col passato. La seconda si concentra sulla specificità dell'insegnamento e dell'azione dell'uomo Joseph Ratzinger. A queste due domande bisognerebbe però aggiungere le seguenti: c. Questi attacchi nascono dall'interno della Chiesa o dall'esterno? d. Chi trae vantaggio da tali attacchi?

Cercherò di trovare una risposta all'ultima domanda, il cui prodest?. Rispondere oggi a questa domanda sarebbe forse un po' da sciocchi. Credo, infatti, che i profittatori dell'indebolimento della personalità mediatica di Papa Ratzinger, preferiscano ancora restare dietro le quinte. Ma intanto cerchiamo di tratteggiarne la fisionomia.

La storia ci insegna che il più delle volte complotti e manomissioni alla corte di un re sono stati operati o da aspiranti al trono frustrati nelle loro aspettative, o dall'aristocrazia di corte vogliosa di innovazioni e di guadagno di potere, o da nemici esterni al regno, capaci di portare tra le loro fila alcuni fedeli cortigiani del re sotto scacco. Chiaramente, rispetto al passato, il vero problema della Chiesa Cattolica e dell'attuale papato riguarda un fattore storicamente nuovo, come la comunicazione. Dunque, aggiungiamo che gli attacchi possono essere - diciamo così - "provocati", ma non finalmente "causati" da una cattiva comunicazione.

Visto però che la comunicazione rientra sempre nell'attività interna alla "corte" pontificia, la "provocazione" dell'attacco può anche coincidere con la sua "causa", nel momento in cui si sappia che talune comunicazioni sono mediamente in grado di produrre effetti dannosi per l'immagine del pontefice. Sicché o gli errori di comunicazione sono dovuti ad imperizia o sono dovuti ad una volontà esplicita di danneggiare il Pontefice.

Per capire come stiano le cose su quest'ultimo punto, è opportuno però dare uno sguardo all'intero sistema comunicativo della Santa Sede. Questo sistema è sempre fallace o lo è solo in casi specifici? In poche parole gli errori li commette solo quando nella comunicazione è coinvolto il Papa o anche in altri casi?

Prima di dare una risposta a quest'ulteriore quesito, domandiamoci chi sia il responsabile finale della comunicazione della Santa Sede. E' o non è il Cardinal Segretario di Stato? Non si tratta dunque di una figura istituzionale di spicco all'interno della "corte" pontificia? Sicché possiamo concludere il ragionamento sulla possibile causa degli attacchi da ascrivere ad una cattiva comunicazione della Santa Sede, affermando che una volta che il re è nudo - ovvero si è ampiamente dimostrato che la comunicazione della Santa Sede fa spesso acqua da tutte le parti ed espone ancor più spesso ad attacchi mediatici il Santo Padre - non ci si può più nascondere dietro un dito. Così l'imperizia non può che trasformarsi in responsabilità (errare humanum est, perseverare diabolicum!).

Ritorniamo perciò alla casistica già espressa: preparazione di un cambio al vertice (giochi preparatori per il prossimo Conclave), rivendicazioni dell'aristocrazia (collegialità richiesta dai Vescovi), complicità con agenti esterni (infiltrazioni lobbistiche in Vaticano). Esaminiamo quindi nel dettaglio questi tre casi, a mio parere interconnessi tra di loro.

2. Sfogliando le pagine di "Attacco a Ratzinger" (titolo che emblematicamente spiega l'indirizzo personale e non istituzionale di tali attacchi) si può agilmente delineare, in via preliminare, il profilo ideologico dell'attaccante. Anzitutto l'attaccante è un tipico conformista: non ambisce a creare "problemi" e "discussioni" sia in ambito politico che religioso. Ama l'irenismo e il dialogo fini a se stessi e vuole che la Chiesa conviva pacificamente con le altre religioni senza proclamare la sua unica verità (esempio Ratisbona). E' totalmente contrario alla cosiddetta "riforma della riforma" e ambisce ad una piena e completa attuazione della riforma liturgica del Concilio Vaticano II (casi Linz, Williamson, Summorum Pontificum). Qua e là fa emergere insoddisfazione e voglia di apertura dinanzi alle ferree norme etiche della Chiesa, in particolare quando si parla di contraccezione e aborto, comunione per separati e divorziati (vedi caso Preservativo africano, ma si potrebbero citare altri casi di contestazione al Papa omessi nel dossier Rodari-Tornielli per la loro minore intensità). Inoltre l'attaccante tipo è interessato ad indebolire l'autorità del Pontefice utilizzando la questione pedofilia: i vescovi sono costretti ad agire in modo omertoso da documenti pontifici (come la Crimen sollicitationis). La questione pedofilia aiuta inoltre l'attaccante a rivendicare l'abolizione del celibato dei sacerdoti (vedi anche le dichiarazioni di Schoenborn in merito). Il profilo è dunque chiarissimo. Manca però una sorta di analisi in positivo degli attacchi. Ossia: quando il Papa non è stato attaccato, ma, al contrario, osannato? Possiamo dire senza tema di smentite che il Papa è stato osannato a livello mondiale quando è stata pubblicata la Caritas in veritate. Ricordate? Dal governatore della banca d'Italia Mario Draghi al premier britannico Gordon Brown, da Giulio Tremonti al presidente Barack Obama, per non parlare del gotha della finanza: tutti si sono sperticati nell'apprezzare ed osannare il rilancio delle energie rinnovabili, l'auspicio di uno sviluppo sostenibile, la critica degli eccessi speculativi, il finale voto perché si dia vita ad un organismo sovranazionale in grado di occuparsi di immigrazione, economia e via dicendo. Questi temi, impossibile negarlo, devono stare molto a cuore all'attaccante di Ratzinger. D'altronde quell'enciclica l'ha prodotta fisicamente il Pontificio Consiglio Giustizia e Pace (come fece allora notare il critico George Weigel) e lo stesso Papa la rimandò indietro insoddisfatto per ben tre volte.

Mettendo quindi insieme i singoli tasselli di questo puzzle non emerge forse prepotentemente una vera e propria agenda per il prossimo papato? Non è chiaro come il sole che attraverso questi attacchi si è intenti a delineare i futuri indirizzi della Chiesa?

L'intreccio fortissimo fra creazione e percezione mediatica degli attacchi ha, d'altronde, un unico obiettivo: indebolire l'autorità personale dell'attuale pontefice e far coincidere l'ostilità nei suoi riguardi con una più diffusa ostilità nei riguardi delle sue scelte e dei suoi orientamenti.

Così si interconnettono interessi molteplici. a. Quello dei Vescovi, interessati a realizzare una piena e completa collegialità col Vescovo di Roma. Un interesse, quest'ultimo, che rimonta a molti anni fa e riverbera nel presente antiche tensioni fra poteri interni alla Chiesa di Roma.

b. L'interesse delle lobbies emanazione della finanza internazionale e di dominanti ambienti politici: come potrebbero, infatti, i Vescovi conservare un potere finanziario e in qualche modo istituzionale senza l'appoggio di tali lobbies? Gli investimenti che costantemente le curie episcopali di mezzo mondo portano avanti (specie nel settore immobiliare) sono forse autofinanziati? Nella maggior parte dei casi no.

Si instaura così nella base istituzionale della Chiesa Cattolica un necessario stato di non belligeranza fra poteri, la cui provvisorietà dipende dalla progressiva omogeneizzazione delle istanze da essi propugnate. In sintesi la Chiesa finisce per venire a patti con la finanza e le istituzioni laiciste, i cui obiettivi coincidono con l'attenuazione dell'esclusivismo religioso cattolico, l'adeguamento etico del cattolicesimo alla nuova moralità contemporanea, la trasformazione del ritualismo romano nel quale il rapporto col divino è relazione oggettiva, in liturgia intellettualistica e sociale, dove il rito e la fede si stemperano in uno spiritualismo vagamente new age infarcito di soggettivismo.

3. Quindi, in ultima analisi, è vero che non si può parlare esclusivamente di complotto o di semplice imperizia curiale, in riferimento ai molteplici attacchi subiti da Papa Ratzinger in questo quinquennio. Tuttavia, è innegabile che le trame di questo più grande fenomeno di trasformazione della Chiesa Cattolica siano estremamente chiare ed evidenti e in parte ovvie, data la parallela trasformazione della società e delle istituzioni politiche e finanziarie. E per comprendere quale tela andranno a tessere nel futuro, basta attenersi al presente disegno dell'ordito. Fuor di metafora: è possibile comprendere sin da ora dove e come culmineranno gli attacchi al Pontefice? Personalmente ho una teoria: credo che per demolire definitivamente l'autorità morale e dottrinale di Joseph Ratzinger basterebbe incrinarne la limpidezza umana. Ci hanno già provato in quest'ultimo anno cercando di coinvolgerlo in responsabilità gravi nel trattamento di casi di pedofilia, ipotizzando un coinvolgimento di suo fratello in casi di abusi nel coro di Ratisbona, rievocando sue presunte omissioni quand'era Arcivescovo di Monaco. Finora non ci sono riusciti. Sarebbe facile dire che non praevalebunt, se non fosse che queste forze negative sono talmente radicate nel seno della Chiesa da essere ormai indistinguibili, da non appartenere a chiare e nette fazioni. E' come se per attuare un cambiamento variamente auspicato da una maggioranza di Vescovi e sacerdoti, ognuno avesse deciso di sacrificare un po' dell'autorità di questo Pontefice, esponendolo alle ire di un mondo che lo giudica inadeguato. Questa divisione, questo stato di conflittualità interecclesiale non si risolverà facilmente perché è annoso e radicato, specie nel clero. Sono forse i fedeli, invece, i veri difensori di Papa Ratzinger? Non è forse a loro che è rimessa la responsabilità di amare questo pontefice e di difenderlo perinde ac cadaver, come un tempo dicevano i gesuiti?

Ritengo proprio di sì. Dunque armiamoci di rosari e cominciamo a pregare e a fare una sana opera di apologetica: il destino della Chiesa è certo nelle mani di Dio, ma è anche nelle nostre e contro questi attacchi la preghiera e la salda fede sono certamente le "armi" più belle che lo stesso Sommo Pontefice Benedetto XVI vorrebbe vederci impugnare!