sabato 28 agosto 2010

Chiunque voglia salvarsi deve anzitutto possedere la fede cattolica (Simbolo Atanasiano)

SIMBOLO ATANASIANO


1. Quicúmque vult salvus esse, * ante ómnia opus est, ut téneat cathólicam fidem.
- Chiunque voglia salvarsi* deve anzitutto possedere la fede cattolica.
2 . Quam nisi quisque íntegram inviolatámque se1váverit, * absque dúbio in Ïtérnum peribit.
- Colui che non la conserva integra ed inviolata* perirà senza dubbio in eterno.
3. Fides autem cathólica hÏc est: * ut unum Deum in Trinitáte, et Trinitátem in unitáte venerémur.
- La fede cattolica è que­sta:* che veneriamo un unico Dio nella Trinità e la Trinità nell'unità.
4. Neque confundéntes persónas, * neque substántiam separántes.
- Senza confondere le per­sone* e senza separare la so­stanza.
5. Alia est enim persóna Patris, ália Fílii, * ália Spiritus Sancti.
- Una è infatti la persona del Padre, altra quella del Figlio* ed altra quella dello Spirito Santo.
6. Sed Patris, et Fílii, et Spiritus Sancti una est divínitas, * æquális glória, coatérna maiéstas.
- Ma Padre, Figlio e Spirito Santo hanno una sola divini­tà,* uguale gloria, coeterna maestà.
7. Qualis Pater, talis Filius,* talis Spiritus Sanctus.
- Quale è il Padre, tale è il Figlio,* tale lo Spirito Santo.
8. Increátus Pater, increátus Fílius,* increátus Spíritus Sanctus.
- Increato il Padre, increato il Figlio,* increato lo Spirito Santo.
9. Imménsus Pater, imménsus Filius, * imménsus Spíritus Sanctus.
- Immenso il Padre, immen­so il Figlio,* immenso lo Spi­rito Santo.
10. Aetérnus Pater, atérnus Fílius, * ætérnus Spíritus Sanctus.
- Eterno il Padre, eterno il Figlio,* eterno lo Spirito San­to.
11. Et tamen non tres atérni, * sed unus ætérnus.
- E tuttavia non vi sono tre eterni, * ma un solo eterno.
12. Sicut non tres increáti, nec tres imménsi, * sed unus increátus, et unus immensus.
- Come pure non vi sono tre increati né tre immensi,* ma un solo increato e un solo immenso.
13. Simíliter omnipotens Pater, omnípotens Fílius,* omnipotens Spíritus Sanctus.
- Similmente è onnipoten­te il Padre, onnipotente il Fi­glio,* onnipotente lo Spirito Santo.
14. Et tamen non tres omnipoténtes, * sed unus omnípotens.
- Tuttavia non vi sono tre onnipotenti,* ma un solo on­nipotente.
15. Ita Deus Pater, Deus Fílius, * Deus Spíritus Sanctus.
- Il Padre è Dio, il Figlio è Dio,* lo Spirito Santo è Dio.
16. Et tamen non tres Dii, * sed unus est Deus.
- E tuttavia non vi sono tre Dei,* ma un solo Dio.
17. Ita Dóminus Pater, Dóminus Filius, * Dóminus Spiritus Sanctus.
- Signore è il Padre, Signo­re è il Figlio,* Signore è lo Spirito Santo.
18. Et tamen non tres Dómini,* sed unus est Dóminus.
- E tuttavia non vi sono tre Signori,* ma un solo Signore.
19. Quia, sicut singillátim unamquamque persónam Deum ac Dóminum confitéri christiána veritáte compéllimur:* itatres Deos aut Dóminos dícere cathólica religióne prohibemur.
- Poiché come la verità cri­stiana ci obbliga a confessare che ciascuna persona è singo­larmente Dio e Signore,* così pure la religione cattolica ci proibisce di parlare di tre Dei o Signori.
20. Pater a nullo est factus:* nec creátus, nec génitus.
- Il Padre non è stato fatto da alcuno:* né creato, né ge­nerato
21. Fílius a Patre solo est:* non factus, nec creátus, sed génitus.
- Il Figlio è dal solo Pa­dre:* non fatto, né creato, ma generato
22. Spiritus Sanctus a Patre et Fílio:* non factus, nec creátus, nec génitus, sed procédens.
- Lo Spirito Santo è dal Pa­dre e dal Figlio:* non fatto, né creato, né generato, ma da es­si procedente.
23. Unus ergo Pater, non tres Patres: unus Fílius, non tres Filii:* unus Spíritus Sanctus, non tres Spiritus Sancti.
- Vi è dunque un solo Pa­dre, non tre Padri; un solo Fi­glio, non tre Figli, * un solo Spirito Santo, non tre Spiriti Santi.
24. Et in hac Trinitáte nihil prius aut postérius, nihil maius aut minus:* sed totÏ tres persónÏ coÏtérnÏ sibi sunt et coæquáles.
- E in questa Trinità non v'è nulla che sia prima o poi, nulla di maggiore o di mino­re:* ma tutte e tre le persone sono l'una all'altra coeterne e coeguali.
25. Ita ut per ómnia, sicut iam supra dictum est,* et únitas in Trinitáte, et Trinitas in unitáte veneránda sit.
- Cosicché in tutto, come già è stato detto,* va venerata l'unità nella Trinità e la Trini­tà nell'unità.
26. Qui vult ergo salvus esse, * ita de Trinitáte séntiat.
- Chi dunque vuole salvar­si, * pensi in tal modo della Trinità.
27. Sed necessárium est ad ætérnam salútem,* ut Incarnatiónem quoque Dómini nostri Iésu Christi fidéliter credat.
- Ma per l'eterna salvezza* è necessario credere fedel­mente anche all'Incarnazio­ne del Signore nostro Gesù Cristo.
28. Est ergo fides recta ut credámus et confiteámur,* quia Dóminus noster Iésus Christus, Dei Filius, Deus et homo est.
- La retta fede vuole, infat­ti, che crediamo e confessia­mo* che il Signore nostro Gesù Cristo, Figlio di Dio, è Dio e uomo.
29. Deus est ex substántia Patris ante sæcula génitus:* et homo est ex substántia matris in sæculo natus.
- È Dio, perché generato dalla sostanza del Padre fin dall'eternità;* è uomo, per­ché nato nel tempo dalla so­stanza della madre.
30. Perféctus Deus, perféctus homo:* ex ánima rationáli et humána carne subsístens.
- Perfetto Dio, perfetto uo­mo:* sussistente dall'anima razionale e dalla carne uma­na.
31. Aequális Patri secúndum divinitátem;* minor Patre secúndum humanitátem.
- Uguale al Padre nella di­vinità,* inferiore al Padre nel­l'umanità.
32. Qui, licet Deus sit et homo, * non duo tamen, sed unus est Christus.
- E tuttavia, benché sia Dio e uomo,* non è duplice ma è un solo Cristo.
33. Unus autem non conversióne divinitátis in carnem, * sed assumptióne humanitátis in Deum.
- Uno solo, non per con­versione della divinità in car­ne,* ma per assunzione del­l’umanità in Dio.
34. Unus omníno, non confusióne substántiÏ, * sed unitáte persónæ.
- Totalmente uno, non per confusione di sostanze,* ma per l'unità della persona.
35. Nam sicut ánima rationális et caro unus est homo:* ita Deus et homo unus est Christus.
- Come infatti anima ra­zionale e carne sono un solo uomo,* così Dio e uomo sono un solo Cristo
36. Qui passus est pro salúte nostra: descéndit ad ínferos:* tértia die resurréxit a mórtuis.
- Che patì per la nostra sal­vezza, discese agli inferi,* il terzo giorno è risuscitato dai morti.
37. Ascéndit ad cælos, sedet ad déxteram Dei Patris omnipoténtis:* inde ventúrus est iudicáre vivos et mórtuos.
- È salito al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipo­tente, * e di nuovo verrà a giu­dicare i vivi e i morti.
38. Ad cuius advéntum omnes homines resurgere habent cum corpóribus suis:* et redditúri sunt de factis própriis ratiónem.
- Alla sua venuta tutti gli uomini dovranno risorgere nei loro corpi* e dovranno rendere conto delle proprie azioni.
39. Et qui bona egérunt, ibunt in vitam ætérnam:* qui vero mala, ingnem ætérnum.
- Coloro che avranno fatto il bene andranno alla vita eterna:* coloro, invece, che avranno fatto il male, nel fuo­co eterno.
40. Hæc est fides cathólica,* quam nisi quisque fidéliter firmitérque credíderit, salvus esse non póterit.
- Questa è la fede cattoli­ca,* e non potrà essere salvo se non colui che l'abbraccerà fedelmente e fermamente.
41. Glória Patri, et Fílio, * et Spiritui Sancto.
- Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo.
42. Sicut erat in principio, et nunc, et semper,* et in sæcula sæculórum. Amen.
- Come era nel principio, e ora e sempre nei secoli dei se­coli. Amen.

venerdì 27 agosto 2010

Dio benedica i francesi


Viva la Francia e abbasso i Minc...


San Luigi IX Re di Francia

pensieri nell'ombra e offese al Santo Padre

Il consigliere di Sarkozy contro il Papa

Alain Minc, consigliere ombra di Nicolas Sarkozy, ritiene che Benedetto XVI, domenica scorsa, non avesse il diritto di criticare le misure adottate dal governo francese contro i rom, perché "tutti possono dire la loro sull'argomento, ma non un papa tedesco: Benedetto XVI, come tutti i tedeschi, è un erede del nazismo".

Capito che ésprit de finesse? Consigliamo a Sarkozy di scegliersi meglio i consiglieri: soprattutto quelli che pur di uscire dall'ombra dicono enormità del genere. Anche noi prendendo spunto da questo episodio potremmo dire "Dio stramaledica i francesi!", ma saremmo solo dei cretini. Si attende (invano?) la reazione della Segreteria di Stato

giovedì 26 agosto 2010

aggiornare Cristo significa aggirare Cristo

Quelli che vogliono aggiornare Cristo
di Inos Biffi

L'ortodossia, cioè il Credo cristiano nella sua integrità, è il fondamento e la condizione dell'esistenza stessa della Chiesa.

Questa perderebbe la propria identità, se qualche verità del Credo si annebbiasse nell'incertezza o fosse rimossa o trascurata. La prima missione che sta a cuore alla Chiesa è la piena fedeltà alla Parola di Dio, autorevolmente espressa e proposta dalla stessa Chiesa.

Verso le formulazioni della fede non è raro riscontrare una diffidenza e reazione, ma è perché vengono fraintese, quasi riducessero e impoverissero tale Parola, frantumandola in enunciazioni astratte, prive di vita. Se è vero che nessun linguaggio umano riesce a esprimerne adeguatamente il contenuto, che solo nella visione beatifica sarà immediatamente percepito, è altrettanto indubbio che i simboli di fede coi loro articoli e le definizioni della Chiesa col loro rigore, grazie all'opera dello Spirito, mediano infallibilmente la Rivelazione. E proprio questa sta a cuore alla Chiesa, quale sua prima e insostituibile missione, in ogni tempo.

Già Paolo raccomandava a Tito di insegnare "quello che è conforme alla sana dottrina" (Tito, 2, 1), mentre, esortando Timoteo ad annunciare la Parola, gli prediceva: "Verrà un giorno in cui non si sopporterà più la sana dottrina" (2 Timoteo, 4, 2-3). D'altronde lui stesso si preoccupava di essere in sintonia con gli altri apostoli.

Oggi qua e là si reagisce quando si sente parlare di "eresia", non considerando che, se l'eresia non è possibile, vuol dire che non esiste neppure la Verità e tutto si stempera in una materia cristiana confusa e informe. Quando, al contrario, la fede ha degli oggetti precisi e non interscambiabili.

In questa trasmissione lo sguardo della Chiesa è sempre volto soltanto al Signore, che le affida il Vangelo: non a quello che una determinata cultura potrebbe gradire o approvare, e non limitatamente a quegli aspetti su cui si possa essere d'accordo e consenzienti dopo un accogliente dialogo. Non è fuori luogo sottolineare che il Verbo si è fatto carne non per istituire un disteso e lusinghiero dialogo con l'uomo, ma per creare e manifestare in sé l'unica immagine valida e riconoscibile dell'uomo. A prescindere da Gesù Cristo semplicemente non c'è l'uomo conforme al progetto divino.

Per non equivocare si potrebbe aggiungere che Gesù Cristo non va mai "aggiornato", perché è Lui il perenne e insuperabile Aggiornamento, che include in sé ogni tempo, quello presente, quello passato e quello futuro. Siamo noi che invece, per non perdere l'"attualità", ci dobbiamo aggiornare a Lui, siamo noi che, per essere veri credenti, ci dobbiamo aggiornare al Credo cristiano in sé inalterato e inaggiornabile.

Un rinnovamento nella Chiesa passa sempre e imprescindibilmente da un lucido annunzio anzitutto dell'assolutezza di Gesù Cristo, che rappresenta "il mistero di Dio Padre" (Colossesi, 2, 2). Del resto, i concili più importanti e impegnativi furono quelli dedicati all'ortodossa proposizione del mistero di Cristo, della identità di Gesù di Nazaret: concili dottrinali e quindi, nel significato più alto, concili pastorali. A cominciare da Nicea.

La storia della Chiesa mostra con innegabile evidenza che una ripresa della condotta evangelica si innesta sempre su una energica riproposizione dell'ortodossia. Si pensi al Concilio di Trento, che fu prima di tutto un concilio dottrinale - sul peccato originale, sulla giustificazione, sui sacramenti - a cui seguì un meraviglioso rifiorire di vita e di santità cristiana.

La Riforma aveva colto, e giustamente stigmatizzato, comportamenti antievangelici nella Chiesa del suo tempo. Solo che alla base del risanamento pose un aggiornamento dell'ortodossia di fatto consistente in eresie, che spezzavano la comunione con la Tradizione. Si pensi alla negazione del sacerdozio ministeriale, alla contestazione del sacrificio della Messa, alla negazione di alcuni sacramenti, al carattere ecclesiale dell'intepretazione della Scrittura. Sarebbe illuminante far passare analiticamente alcuni punti dell'ortodossia da riannunciare con vigore. Ma, prima di singoli dogmi, pare urgente la riproposizione del senso del "mistero", che sostiene tutto il Credo. La Parola di Dio manifesta il disegno, iscritto nell'intimo della Trinità e conoscibile soltanto per la condiscendenza divina e per la sua "narrazione" avvenuta in Cristo. Credere significa affidarsi a questa "narrazione" e quindi accogliere e annunciare un "altro mondo", il mondo invisibile e duraturo. Secondo quanto afferma Paolo: "Noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne" (2 Corinzi, 4, 18).

Lo smarrimento della "sensibilità al soprannaturale", razionalizzando il dogma, dissolve la fede; deteriora e dissipa l'evangelizzazione; altera e svuota la missione della Chiesa, che Cristo ha fondato come testimonianza della Grazia, e per il raggiungimento non del benessere e del fine terreno dell'umanità, ma della beatitudine eterna. Né per questo il Vangelo trascura o sottovaluta l'esistenza temporale dell'uomo, solo che questa esistenza, fragile e transitoria, è considerata nella sua destinazione e riuscita gloriosa.

Ovviamente, la conseguenza di un tale smarrimento è l'estinzione della teologia. A proposito del senso del mistero vengono in mente, e appaiono di sorprendente attualità, le luminose pagine che il più grande teologo dell'Ottocento, Joseph Matthias Scheeben, purtroppo dimenticato dall'esile riflessione dei nostri giorni, dedica nel primo capitolo de I misteri del cristianesimo, l'opera dogmatica a sua volta più originale e profonda dell'epoca: "Quello che ci affascina è l'apparizione di una luce che ci era nascosta. I misteri pertanto devono essere verità luminose, splendide", che "si sottraggono al nostro sguardo per soverchia maestà, sublimità e bellezza".

E anche andrebbe letto, specialmente da chi si sta formando nei seminari, l'ultimo capitolo dell'opera di Scheeben, quello sulla teologia, "la scienza dei misteri", appoggiata tutta "al Lògos di Dio".

L'ortodossia, quindi, con le sue verità "visibili" agli "occhi illuminati del cuore" (Efesini, 1, 18): ecco la condizione imprescindibile per un annunzio fedele del Vangelo e un rinnovamento nella Chiesa.

da "L'Osservatore Romano" del 25 agosto 2010

mercoledì 25 agosto 2010

100 anni del Notre charge apostolique

Pubblichiamo a cent'anni dalla promulgazione la traduzione italiana della lettera apostolica "Notre charge apostolique"  con il quale il Papa San Pio X  condannava il modernismo sociale del Sillon e in anticipo l'esperienza fallimentare delle cosiddette "Democrazie cristiane". Da leggere e meditare. Ah! se gli avessero dato retta....
San Pio X
Notre charge apostolique
Lettera agli Arcivescovi e ai Vescovi francesi sulla concezione secolarizzata della democrazia


[1] La nostra carica apostolica ci rende doveroso vigilare sulla purezza della fede e sull’integrità della disciplina cattolica, preservare i fedeli dai pericoli dell’errore e del male, soprattutto quando l’errore e il male sono loro presentati con un linguaggio trascinante, che velando l’incertezza delle idee e l’equivocità dell’espressione con l’ardore del sentimento e con l’altisonanza delle parole, può infiammare i cuori per cause seducenti, ma funeste. Tali sono state un tempo le dottrine dei sedicenti filosofi del secolo diciottesimo, quelle della Rivoluzione e del liberalismo, tante volte condannate; tali sono, ancor oggi, le teorie del Sillon, che, sotto le loro apparenze brillanti e generose, mancano troppo spesso di chiarezza, di logica e di verità, e, da questo punto di vista, non derivano dal genio cattolico e francese.

[2] Abbiamo lungamente esitato, Venerabili Fratelli, a dire pubblicamente e in forma solenne il nostro pensiero sul Sillon. Per deciderci a farlo è stato necessario che le vostre preoccupazioni venissero ad aggiungersi alle nostre. Infatti amiamo la valorosa gioventù schierata sotto la bandiera del Sillon, e la riteniamo degna di elogio e di ammirazione sotto molti aspetti. Amiamo i suoi capi, nei quali abbiamo il piacere di riconoscere anime elevate, superiori alle passioni volgari e animate del più nobile entusiasmo per il bene. Li avete visti, Venerabili Fratelli, pervasi da un sentimento vivissimo di umana fraternità, presentarsi davanti a quanti lavorano e soffrono per sollevarli, sostenuti nella loro dedizione dall’amore per Gesù Cristo e dalla pratica esemplare della religione.

[3] Era l’indomani della memorabile Enciclica del nostro predecessore di felice memoria, Leone XIII, sulla condizione degli operai. La Chiesa, per bocca del suo capo supremo, aveva riservato sugli umili e sui piccoli tutte le tenerezze del suo cuore materno, e sembrava invocare paladini sempre più numerosi della restaurazione dell’ordine e della giustizia nella nostra turbata società. I fondatori del Sillon non venivano, al momento opportuno, a mettere al suo servizio truppe giovani e credenti, per la realizzazione dei suoi desideri e delle sue speranze? E, di fatto, il Sillon innalzò in mezzo alle classi operaie lo stendardo di Gesù Cristo, il segno della salvezza per gli individui e per le nazioni, alimentando la sua attività sociale alle sorgenti della grazia, imponendo il rispetto della religione agli ambienti meno favorevoli, abituando gli ignoranti e gli empi a sentir parlare di Dio, e spesso sorgendo, nel corso di pubblici contraddittori, di fronte a un pubblico ostile, sollecitato da una domanda o da una espressione sarcastica, per gridare ad alta voce e con fierezza la propria fede. Erano i tempi belli del Sillon; è il suo lato bello, che spiega gli incoraggiamenti e le approvazioni che non hanno risparmiato a esso l’episcopato e la Santa Sede, fino a quando questo fervore religioso ha potuto velare il vero carattere del movimento del Sillon.

[4] Perché, bisogna dirlo, Venerabili Fratelli, le nostre speranze sono state, in gran parte, ingannate. Venne il giorno in cui il Sillon mise in evidenza, per occhi chiaroveggenti, tendenze inquietanti. Il Sillon usciva di strada. Sarebbe potuto capitare diversamente? I suoi fondatori, giovani, entusiasti e pieni di fiducia in sé stessi, non erano sufficientemente dotati di scienza storica, di sana filosofia e di solida teologia per affrontare senza pericolo i difficili problemi sociali verso i quali erano attirati dalla loro attività e dal loro cuore, e per mettersi in guardia, sul terreno della dottrina e dell’ubbidienza, contro le infiltrazioni liberali e protestanti.

[5] I consigli non sono loro mancati; dopo i consigli sono venuti gli ammonimenti; ma abbiamo avuto il dolore di vedere sia gli avvertimenti che i rimproveri scivolare sulle loro anime sfuggenti e restare senza esito. Le cose sono giunte a un punto tale, che tradiremmo il nostro dovere, se mantenessimo più a lungo il silenzio. Dobbiamo la verità ai nostri cari figli del Sillon, che un ardore generoso ha condotto su una via tanto falsa quanto pericolosa. La dobbiamo a un gran numero di seminaristi e di sacerdoti, che il Sillon ha sottratto, se non all’autorità, almeno alla direzione e all’influenza dei loro vescovi; la dobbiamo infine alla Chiesa, dove il Sillon semina la divisione e di cui compromette gli interessi.

I. Presa di posizione sulla dottrina del movimento del Sillon

 (Impossibilità di un’azione sociale senza dottrina, quindi necessità della subordinazione all’insegnamento della Chiesa)
[6] In primo luogo, conviene rilevare con rigore la pretesa del Sillon di sfuggire alla direzione dell’autorità ecclesiastica. Infatti, i capi del Sillon sostengono di muoversi su un terreno, che non è quello della Chiesa; di occuparsi soltanto degli interessi dell’ordine temporale e non di quelli dell’ordine spirituale; che il collaboratore del Sillon è solo e semplicemente un cattolico votato alla causa delle classi lavoratrici, alle opere democratiche, e che attinge, nelle pratiche della fede, l’energia della sua dedizione; che, né più né meno degli artigiani, dei contadini, degli economisti e dei politici cattolici, si trova sottoposto alle regole della morale comuni a tutti, senza dipendere in un modo speciale, né più né meno di loro, dall’autorità ecclesiastica.

[7] La risposta a questi sotterfugi è fin troppo facile. Infatti, a chi si farà credere che i membri cattolici del Sillon, che i sacerdoti e i seminaristi arruolati nei loro ranghi, mirino, nella loro attività sociale, solo agli interessi temporali delle classi operaie? Pensiamo che il sostenerlo sarebbe far loro un torto. In verità, i capi del Sillon si proclamano idealisti irriducibili, pretendono di sollevare le classi lavoratrici, sollevando in primo luogo l’umana coscienza, di avere una dottrina sociale e princìpi filosofici e religiosi per ricostruire la società su un piano nuovo, di avere una speciale concezione della dignità umana, della libertà, della giustizia e della fraternità, e, per giustificare i loro sogni sociali, si richiamano al Vangelo interpretato a modo loro, e, fatto ancor più grave, a un Cristo sfigurato e sminuito. Inoltre insegnano queste idee nei loro circoli di studio, le inculcano ai loro compagni; le mettono in pratica nelle loro opere. Sono dunque veramente professori di morale sociale, civica e religiosa; e, qualsiasi modifica possano introdurre nell’organizzazione del loro movimento, abbiamo il diritto di dire che il fine del Sillon, il suo carattere, la sua azione, sfociano nel campo morale, che è il campo proprio della Chiesa, e che, di conseguenza, i membri del Sillon si illudono quando credono di muoversi su di un terreno, ai confini del quale cessano i diritti del potere dottrinale e direttivo dell’autorità ecclesiastica.

[8] Se le loro dottrine fossero esenti da errore, sarebbe già stata una mancanza gravissima alla disciplina cattolica il sottrarsi ostinatamente alla direzione di quanti hanno ricevuto dal Cielo la missione di guidare gli individui e le società sulla retta via della verità e del bene. Ma il male è più profondo, lo abbiamo già detto: il Sillon, travolto da un malinteso amore dei deboli, è scivolato nell’errore.

[9] Effettivamente il Sillon si propone di risollevare e di rigenerare le classi operaie. Orbene, in questa materia, i princìpi della dottrina cattolica sono fissati, e la storia della civiltà cristiana sta ad attestarne la benefica fecondità. Il nostro predecessore, di felice memoria, li ha richiamati in pagine magistrali, che i cattolici che si occupano di problemi sociali devono studiare e aver sempre presenti. Egli ha insegnato, in modo particolare, che la democrazia cristiana deve "mantenere la diversità delle classi, che è certamente la condizione propria della città bene ordinata, e volere per la società umana la forma e il carattere che Dio, suo autore, ha impresso in essa" (1). Egli ha condannato "una certa democrazia che giunge fino a un tal grado di perversità da attribuire al popolo la sovranità nella società e da perseguire la soppressione e il livellamento delle classi" (2). Nello stesso tempo, Leone XIII imponeva ai cattolici un programma di azione, il solo capace di ricondurre e di mantenere la società sulle sue secolari basi cristiane. Ora, che cos’hanno fatto i capi del Sillon? Non hanno soltanto adottato un programma e un insegnamento diversi da quelli di Leone XIII (il che sarebbe già di per sé singolarmente temerario da parte di laici, che così si pongono come direttori dell’attività sociale della Chiesa, in concorrenza con il Sommo Pontefice); ma hanno apertamente rigettato il programma tracciato da Leone XIII e ne hanno adottato uno diametralmente opposto; inoltre, respingono la dottrina sui princìpi essenziali della società, richiamata da Leone XIII, situano l’autorità nel popolo oppure quasi la sopprimono e assumono come ideale da realizzare il livellamento delle classi. Vanno dunque in senso contrario rispetto alla dottrina cattolica, nella direzione di un ideale condannato.

[10] Sappiamo bene che si vantano di rialzare la dignità umana e la condizione troppo disprezzata delle classi lavoratrici, di rendere giuste e perfette le leggi sul lavoro e le relazioni fra il capitale e i salariati, insomma di far regnare sulla terra una migliore giustizia e una maggiore carità e, per mezzo di movimenti sociali profondi e fecondi, di promuovere nell’umanità un progresso inatteso. Da parte nostra non biasimiamo certamente questi sforzi, che sarebbero eccellenti da ogni punto di vista, se i membri del Sillon non dimenticassero che il progresso di un essere consiste nel rafforzare le proprie facoltà naturali con nuove energie e nel facilitare il gioco della loro attività nel quadro e conformemente alle leggi della sua costituzione, e che, per contro, ferendo i suoi organi essenziali, spezzando il quadro della loro attività, non si spinge l’essere verso il progresso, ma verso la morte. Tuttavia è proprio questo che vogliono fare della società umana; il loro sogno consiste nel cambiare le sue basi naturali e tradizionali, e nel promettere una città futura edificata su altri princìpi, che osano dichiarare più fecondi, più benefici dei princìpi sui quali si basa la città cristiana attuale.

[11] No, Venerabili Fratelli - bisogna ricordarlo energicamente in questi tempi di anarchia sociale e intellettuale, in cui ciascuno si atteggia a dottore e legislatore -, non si costruirà la città diversamente da come Dio l’ha costruita; non si edificherà la società, se la Chiesa non ne getta le basi e non ne dirige i lavori; no, la civiltà non è più da inventare, né la città nuova da costruire sulle nuvole. Essa è esistita, essa esiste; è la civiltà cristiana, è la civiltà cattolica. Si tratta unicamente d’instaurarla e di restaurarla senza sosta sui suoi fondamenti naturali e divini contro gli attacchi sempre rinascenti della malsana utopia, della rivolta e dell’empietà: "omnia instaurare in Christo" (3).

[12] E perché non ci si accusi di giudicare troppo sommariamente e con un rigore non giustificato le teorie sociali del Sillon, vogliamo richiamarne i punti essenziali.

(La rappresentazione utopistica della democratizzazione dell’ordine politico, economico e morale)

[13] Il Sillon ha la nobile preoccupazione per la dignità umana. Tuttavia questa dignità l’intende come certi filosofi di cui la Chiesa è ben lungi dal doversi vantare. Il primo elemento di questa dignità è la libertà, intesa nel senso che, salvo in materia di religione, ogni uomo è autonomo. Da questo principio fondamentale trae le seguenti conclusioni: Oggi il popolo è sotto la tutela di un’autorità da esso distinta; deve liberarsene: emancipazione politica. E’ sotto la dipendenza di padroni, che, possedendo i suoi strumenti di lavoro, lo sfruttano, lo opprimono, e lo abbassano; deve scuotere il loro giogo: emancipazione economica. Infine, è dominato da una casta detta dirigente, alla quale il suo sviluppo intellettuale assicura una preponderanza indebita nella direzione degli affari; deve sottrarsi al suo dominio: emancipazione intellettuale. Il livellamento delle condizioni da questo triplice punto di vista stabilirà fra gli uomini l’uguaglianza, e questa uguaglianza è la vera giustizia umana. Un’organizzazione politica e sociale fondata su questa duplice base, la libertà e l’uguaglianza (alle quali presto verrà ad aggiungersi la fraternità) è quanto chiamano Democrazia.

[14] Tuttavia, la libertà e l’uguaglianza ne costituiscono solo il lato, per così dire, negativo. Quanto fa propriamente e positivamente la Democrazia è la maggiore partecipazione possibile di ciascuno al governo della cosa pubblica. E questo comprende un triplice elemento, politico, economico e morale.

[15] In primo luogo, in politica, il Sillon non abolisce l’autorità; al contrario, la giudica necessaria; ma vuole suddividerla, o, per meglio dire, moltiplicarla in modo tale che ogni cittadino divenga una specie di re. E’ vero che l’autorità deriva da Dio, ma risiede primariamente nel popolo e ne emana attraverso l’elezione o, meglio ancora, la selezione, senza per questo lasciare il popolo e diventare indipendente da esso; sarà esteriore, ma soltanto in apparenza; in realtà sarà interiore, perché si tratterà di un’autorità consentita.

[16] Conservate le proporzioni, sarà lo stesso nell’ordine economico. Sottratto a una classe particolare, il padronato sarà tanto ben moltiplicato, che ogni operaio diventerà una specie di padrone. La forma chiamata a realizzare questo ideale economico non è, si afferma, quella del socialismo; si tratta di un sistema di cooperative sufficientemente moltiplicate da provocare una concorrenza feconda e da salvaguardare l’indipendenza degli operai, che non saranno incatenati a nessuna di esse.

[17] vediamo adesso l’elemento capitale, l’elemento morale. Dal momento che, come si è visto, l’autorità è ridottissima, occorre un’altra forza per supplirla e per opporre una reazione duratura all’egoismo individuale. Questo nuovo principio, questa forza, è l’amore dell’interesse professionale e dell’interesse pubblico, cioè del fine stesso della professione e della società. Immaginate una società in cui, nell’anima di ciascuno, insieme all’amore innato del bene individuale e di quello familiare, regnasse l’amore del bene professionale e del bene pubblico; dove, nella coscienza di ciascuno, questi amori si subordinassero in modo tale che il bene superiore primeggiasse sempre sul bene inferiore; una tale società non potrebbe quasi fare a meno dell’autorità, e non offrirebbe l’ideale della dignità umana, avendo ogni cittadino un’anima da re, e ogni operaio un’anima da padrone? Il cuore umano, sottratto alla stretta dei suoi interessi privati ed elevato fino agli interessi della sua professione e, più in alto, fino a quelli dell’intera nazione, e, più in alto ancora, fino a quelli dell’umanità (infatti l’orizzonte del Sillon non si ferma alle frontiere della patria, si estende a tutti gli uomini fino ai confini del mondo), allargato dall’amore per il bene comune, abbraccerebbe tutti i compagni della stessa professione, tutti i compatrioti, tutti gli uomini. Ecco quindi la grandezza e l’ideale nobiltà umana realizzate dalla celebre trilogia: Libertà, Uguaglianza, Fraternità.

[18] Orbene, questi tre elementi, politico, economico e morale, sono l’uno subordinato all’altro, e il principale, l’abbiamo detto, è l’elemento morale. Infatti, nessuna democrazia politica è realizzabile se non ha punti d’attacco profondi nella democrazia economica. A loro volta, né l’una né l’altra sono possibili se non si radicano in uno stato d’animo in cui la coscienza si trova investita di responsabilità e di energie morali proporzionate. Ma, supposto che questo stato d’animo sia costituito di responsabilità cosciente e di forze morali , la democrazia economica ne deriverà naturalmente con la traduzione in atti di questa coscienza e di queste energie; ugualmente, e con lo stesso sistema, dal regime corporativo uscirà la democrazia politica; e la democrazia politica ed economica, questa sostenendo l’altra, si troveranno fissate nella coscienza stessa del popolo su posizioni inattaccabili.

[19] Questa è, in sintesi, la teoria, si potrebbe dire il sogno, del Sillon, e a questo tende il suo insegnamento e quanto esso chiama l’educazione democratica del popolo, cioè il portare al grado massimo la coscienza e la responsabilità civica di ciascuno, da cui deriverà la democrazia economica e politica, e il regno della giustizia, della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità.

[20] Questa rapida esposizione, Venerabili Fratelli, vi mostra già con chiarezza quanto avessimo ragione dicendo che il Sillon oppone dottrina a dottrina, edifica la sua città su una teoria contraria alla verità cattolica e falsifica le nozioni essenziali e fondamentali che regolino i rapporti sociali in ogni società umana. Questa opposizione diventerà ancora più evidente sulla base delle considerazioni seguenti.

[L’autorità politica non è delegata dal popolo]

[21] Il Sillon situa in primo luogo la pubblica autorità nel popolo, da cui passa poi ai governanti, ma in modo tale che continua a risiedere in esso. Orbene, Leone XIII ha formalmente condannato questa dottrina nella sua Enciclica Diuturnum illud sul Principato politico, in cui dice "Un gran numero di moderni, seguendo le orme di quanti, nel secolo scorso, si diedero il nome di filosofi, dichiarano che ogni potere deriva dal popolo; di conseguenza, quanti esercitano il potere nella società, non lo esercitano come di loro propria autorità, ma come un’autorità a essi delegata dal popolo e a condizione di poter essere revocata dalla volontà del popolo, da cui l’hanno. Del tutto opposta è la convinzione dei cattolici, che fanno derivare da Dio, come dal suo principio naturale e necessario, il diritto di comandare" (4). Indubbiamente il Sillon fa discendere da Dio questa autorità che situa anzitutto nel popolo, ma in modo tale che "essa risale dal basso per andare in alto, mentre, nell’organizzazione della Chiesa, il potere discende dall’alto per diffondersi in basso" (5). Tuttavia, oltre il fatto che è cosa anormale che il mandato salga, perché è per sua natura discendente, Leone XIII ha confutato previamente questo tentativo di conciliare la dottrina cattolica con l’errore del filosofismo. Infatti, prosegue: "E’ importante sottolinearlo qui; quanti presiedono al governo della cosa pubblica possono certamente, in determinati casi, essere eletti dalla volontà e dal giudizio della moltitudine , senza che ciò ripugni o si opponga alla dottrina cattolica. Tuttavia, se questa scelta designa il governante, non gli conferisce l’autorità di governare; non delega il potere, ma designa la persona che ne sarà investita" (6).

[22] D’altronde, se il popolo resta detentore del potere, che cosa diventa l’autorità? Un’ombra, un mito; non vi è più legge propriamente detta e non vi è più ubbidienza. Il Sillon lo ha riconosciuto; infatti, poiché pretende, in nome della dignità umana, la triplice emancipazione politica, economica e intellettuale, la città futura per cui esso lavora non avrà più né padroni né servitori; i suoi cittadini saranno tutti liberi, tutti compagni, tutti re. Un ordine, un precetto, sarebbe un attentato alla libertà; la subordinazione a una qualsiasi superiorità sarebbe una diminuzione dell’uomo, l’ubbidienza uno svilimento. La dottrina tradizionale della Chiesa, Venerabili Fratelli, ci presenta così le relazioni sociali nella città, anche la più perfetta possibile? Ogni società di creature indipendenti e disuguali per natura non ha forse bisogno di un’autorità che diriga la loro attività verso il bene comune e che imponga la sua legge? E, se nella società si trovano esseri perversi (e ve ne saranno sempre), l’autorità non dovrà essere tanto più forte quanto più minaccioso sarà l’egoismo dei cattivi? Inoltre, si può dire che un’ombra di ragione che vi è incompatibilità fra l’autorità e la libertà, a meno d’ingannarsi pesantemente sul concetto di libertà? Si può insegnare che l’ubbidienza è contraria alla dignità umana e che l’ideale consisterebbe nel sostituirla con "l’autorità consentita"? Forse l’apostolo San Paolo non aveva presente la società umana in tutte le sue possibili tappe, quando prescriveva ai fedeli di essere sottomessi ad ogni autorità? Forse l’ubbidienza agli uomini in quanto legittimi rappresentanti di Dio, cioè, in fin dei conti, l’ubbidienza a Dio abbassa l’uomo, e lo degrada al di sotto di sé stesso? Forse lo stato religioso fondato sull’ubbidienza sarebbe contrario all’ideale della natura umana? Forse i Santi, che sono stati gli uomini più ubbidienti, erano schiavi e degenerati? Infine, forse si può immaginare uno stato sociale in cui Gesù Cristo, tornato sulla terra, non darebbe più l’esempio dell’ubbidienza e non direbbe più: "Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio"? (7).

[L’uguaglianza formale può far ammettere la democrazia solo come legittima forma di governo]

[23] Dunque il Sillon, che insegna tali dottrine e le mette in pratica nella sua vita interna, semina fra la vostra gioventù cattolica nozioni erronee e funeste sull’autorità, sulla libertà e sull’ubbidienza. Non diversamente accade per la giustizia e l’uguaglianza. Dice di lavorare alla realizzazione di un’era di uguaglianza, che perciò stesso sarebbe un’era di migliore giustizia. Quindi, per esso, ogni disuguaglianza di condizione costituisce un’ingiustizia, o, almeno, una giustizia minore! Si tratta di un principio assolutamente contrario alla natura delle cose, generatore di invidia e d’ingiustizia e sovvertitore di ogni ordine sociale. Così solamente la democrazia inaugurerà il regno della giustizia perfetta! Non si tratta di un torto fatto alle altre forme di governo, che vengono in tal modo svilite la livello di governo di ripiego impotenti? D’altra parte il Sillon contrasta anche su questo punto con l’insegnamento di Leone XIII. Avrebbe potuto leggere, nella già citata Enciclica sul Principato politico che, "fatta salva la giustizia, non è proibito ai popoli darsi il governo che meglio risponde al loro carattere o alle istituzioni e ai costumi che hanno ricevuto dai loro antenati" (8); e l’Enciclica fa riferimento alla ben nota triplice forma di governo. Quindi suppone che la giustizia sia compatibile con ciascuna di esse. E l’Enciclica sulla condizione degli operai, non afferma chiaramente la possibilità di restaurare la giustizia nelle attuali organizzazioni della società, dal momento che ne indica i mezzi? Orbene, Leone XIII intendeva indubbiamente parlare non di una giustizia qualsiasi, ma della giustizia perfetta. Perciò, insegnando che la giustizia è compatibile con le tre note forme di governo, insegnava che, da questo punto di vista, la Democrazia non gode di un privilegio speciale. I membri del Sillon , che pretendono il contrario, o rifiutano di ascoltare la Chiesa, oppure si formano un concetto della giustizia e dell’uguaglianza, che non è cattolico.

[Fraternità solo con rapporto all’amore cristiano]

[24] Lo stesso accade per la nozione di fraternità, di cui stabiliscono la base nell’amore degli interessi comuni, oppure, al di la di tutte le filosofie e di tutte le religioni, nella semplice nozione di umanità, comprendendo così nello stesso amore e in un’eguale tolleranza tutti gli uomini con tutte le loro miserie, tanto intellettuali e morali quanto fisiche e temporali. Orbene, la dottrina cattolica ci insegna che il primo dovere della carità non consiste nella tolleranza delle convinzioni erronee, per quanto sincere esse siano, né nella indifferenza teorica o pratica per l’errore o per il vizio in cui vediamo immersi i nostri fratelli, ma nello zelo per il loro miglioramento intellettuale e morale, non meno che per il loro benessere materiale. Questa stessa dottrina cattolica ci insegna pure che la sorgente dell’amore per il prossimo si trova nell’amore di Dio, padre comune e comune fine di tutta l’umana famiglia, e nell’amore di Gesù Cristo, di cui siamo le membra al punto che consolare un infelice equivale a far bene a Gesù Cristo stesso. Ogni altro amore è illusione o sentimento sterile e passeggero. Certamente, l’esperienza umana sta a provare, nelle società pagane o laiche di tutti i tempi, che in certi momenti la considerazione dei comuni interessi o della naturale somiglianza è di scarsissimo peso di fronte alle passioni e agli affetti disordinati del cuore. No, Venerabili Fratelli, non vi è vera fraternità al di fuori della carità cristiana, che per amore di Dio e del suo Figlio Gesù Cristo, nostro Salvatore, abbraccia tutti gli uomini per confortarli tutti e tutti condurre alla stessa fede e alla stessa felicità celeste. Separando la fraternità della carità cristiana intesa in tal modo, la Democrazia, lungi dall’essere un progresso, costituirebbe un disastroso regresso per la civiltà. Infatti, se si vuol arrivare, e noi lo desideriamo con tutta l’anima nostra, alla maggior quantità di benessere possibile per la società e per ciascuno dei suoi membri, per mezzo della fraternità, oppure, come ancora si dice, per mezzo della solidarietà universale, sono necessarie l’unione degli spiriti nella verità, l’unione delle volontà nella morale, l’unione dei cuori nell’amore di Dio e di suo Figlio, Gesù Cristo. Orbene, questa unione è realizzabile soltanto per mezzo della carità cattolica, la quale solamente, di conseguenza, può condurre i popoli sul cammino del progresso, verso l’ideale della civiltà.

(La dignità umana può essere concepita solo come una libertà nel quadro di una morale)

[25] Infine il Sillon pone, alla base di tutte le falsificazioni delle nozioni sociali fondamentali, un’idea falsa della dignità umana. A suo avviso, l’uomo sarà veramente uomo, degno di questo nome, soltanto a partire dal giorno in cui avrà acquisito una coscienza illuminata, forte, indipendente, autonoma, che può fare a meno di un padrone, che ubbidisce solo a sé stessa ed è capace di assumere e di portare senza cedere le più gravi responsabilità. Ecco i paroloni con cui si esalta il sentimento dell’orgoglio umano; come un sogno che trascina l’uomo, senza luce, senza guida e senza soccorso, sulla via dell’illusione, dove, aspettando il gran giorno della piena coscienza, sarà divorato dall’errore e dalle passioni. E questo gran giorno, quando verrà? A meno di cambiare la natura umana (il che non rientra nel potere del Sillon), verrà mai? E i Santi, che hanno portato la dignità umana al suo apogeo, avevano tale dignità? E gli umili della terra, che non possono salire tanto in alto e si accontentano di tracciare modestamente il loro solco nel ruolo che la Provvidenza ha loro assegnato, compiendo con energia i loro doveri nell’umiltà, nell’ubbidienza e nella pazienza cristiana, non sarebbero degni del nome di uomini, proprio loro che il Signore sottrarrà un giorno alla loro condizione oscura, per insediarli nel cielo fra i principi del suo popolo?

(II. Presa di posizione sulla prassi del membri del Sillon)



[26] Interrompiamo qui le nostre riflessioni sugli errori del Sillon. Non abbiamo la pretesa di esaurire l’argomento, perché vi sarebbe ancora da attirare la vostra attenzione su altri punti, ugualmente falsi e pericolosi, per esempio sul modo di comprendere il potere coercitivo della Chiesa. Adesso è importante vedere l’influenza di questi errori sulla condotta pratica del Sillon e sulla sua azione sociale.

[Cameratismo senza autorità]

[27] Le dottrine del Sillon non restano nel campo dell’astrazione filosofica. Vengono insegnate alla gioventù cattolica, e, ancor di più, si prova a viverle. Il Sillon si considera il nucleo della città futura; perciò la rispecchia il più fedelmente possibile. Infatti, nel Sillon non vi è gerarchia. L’élite che lo dirige si è staccata dalla massa in modo selettivo, ossia imponendosi per la sua autorità morale e per le sue virtù. Vi si entra liberamente, come liberamente se ne esce. Gli studi vi si fanno senza maestro, al massimo con un consigliere. I circoli di studio sono autentiche cooperative intellettuali, nelle quali ciascuno è insieme maestro e alunno. Fra i membri regna il cameratismo più assoluto, che mette in totale contatto le loro anime; ne deriva l’anima comune del Sillon. E’ stato definito "un’amicizia". Anche il sacerdote, quando vi entra, abbassa l’eminente dignità del suo sacerdozio e, con una stranissima inversione dei ruoli, si fa alunno, si mete al livello dei suoi giovani amici ed è solamente un compagno.

[28] In queste abitudini democratiche e nelle teorie sulla città ideale che le ispirano, riconoscerete, Venerabili Fratelli, la causa segreta delle mancanze disciplinari, che avete dovuto tanto spesso rimproverare al Sillon. Non è sorprendente che non troviate nei capi e nei loro compagni formati in questo modo, anche se seminaristi o sacerdoti, il rispetto, la docilità e l’ubbidienza dovuti alle vostre persone e alla vostra autorità; che avvertiate da parte loro una sorda opposizione, e che abbiate il dispiacere di vederli sottrarsi completamente, oppure, costretti all’ubbidienza, dedicarsi con disgusto a opere estranee al Sillon. Voi siete il passato; essi sono i pionieri della civiltà futura. Voi rappresentate la gerarchia, le disuguaglianze sociali, l’autorità e l’ubbidienza: istituzioni invecchiate, di fronte alle quali le loro anime, conquistate da un altro ideale, non si possono più piegare. Su questo stato d’animo abbiamo la testimonianza di fatti dolorosi, capaci di strappare le lacrime; e non possiamo, nonostante la nostra longanimità, sottrarci a un giusto sentimento d’indignazione. Davvero! S’ispira alla vostra gioventù cattolica la sfiducia verso la Chiesa, che ne è madre; si insegna ad essa che, dopo diciannove secoli, non è ancora riuscita a costruire nel mondo la civiltà sulle sue vere basi; che non ha capito le nozioni sociali dell’autorità, della libertà, dell’uguaglianza, della fraternità e della dignità umana; che i grandi vescovi e i grandi monarchi, che hanno creato e tanto gloriosamente governato la Francia, non hanno saputo dare al loro popolo né la vera giustizia, né la vera felicità, perché non possedevano l’ideale del Sillon!

[29] Il soffio della Rivoluzione è passato su ciò, e possiamo concludere che, se le dottrine sociali del Sillon sono erronee, il suo spirito è pericoloso e funesta la sua educazione.

[La falsa connessione fra cattolicesimo e democrazia]

[30] Ma allora, che cosa dobbiamo pensare della sua azione nella Chiesa, di esso, il cui cattolicesimo è tanto puntiglioso che, quasi quasi, a meno di abbracciare la sua causa, si sarebbe ai suoi occhi un nemico interno del cattolicesimo e non si capirebbe niente del Vangelo e di Gesù Cristo? Crediamo opportuno insistere su questo problema, perché proprio il suo ardore cattolico ha ottenuto al Sillon, fino a questi ultimi tempi, incoraggiamenti preziosi e illustri sostegni. Ebbene, di fronte alle parole e ai fatti, siamo costretti a dire che il Sillon, tanto nella sua azione quanto nella sua dottrina, non soddisfa la Chiesa.

[31] In primo luogo, il suo cattolicesimo si accorda soltanto con la forma del governo democratico, che giudica essere la più favorevole alla Chiesa, e, per così dire, confondersi con essa; perciò assoggetta la sua religione a un partito politico. Non siamo tenuti a dimostrare che l’avvento della democrazia universale non riguarda l’azione della Chiesa nel mondo; abbiamo già ricordato che la Chiesa ha sempre lasciato alle nazioni il compito di darsi il governo che ritengono più vantaggioso per i loro interessi. Ciò che vogliamo affermare ancora una volta dopo il nostro predecessore, è che vi è errore e pericolo nell’asservire per principio il cattolicesimo a una forma di governo; errore e pericolo che sono molto più grandi quando si fa la sintesi della religione con un genere di democrazia le cui dottrine sono erronee. E’ proprio il caso del Sillon; che, di fatto, e per una forma politica speciale, compromettendo la Chiesa, divide i cattolici, strappa la gioventù e anche sacerdoti e seminaristi all’azione semplicemente cattolica, e disperde, in pura perdita, le forze vive di una parte della nazione.

[Cosmopolitismo neutrale sul piano culturale e politico]

[32] Osservate poi, Venerabili Fratelli, una stupefacente contraddizione. Proprio perché la religione deve dominare su tutti i partiti, invocando questo principio il Sillon si esime dal difendere la Chiesa attaccata. Certamente la Chiesa non è scesa nell’arena politica; la vi si è trascinata per mutilarla e per spogliarla. Il dovere di ogni cattolico non è dunque di usare le armi politiche che ha in mano per difenderla, e anche per forzare la politica e restare nel suo ambito e a occuparsi della Chiesa soltanto per renderle quanto le è dovuto? Ebbene, si ha spesso il dolore di vedere, di fronte alla Chiesa in tal modo violenta, i membri del Sillon incrociare le braccia, a meno che non trovino il loro interesse nel difenderla; li si vede enunciare o sostenere un programma che in nessun punto, né ad alcun grado, rivela il cattolico. Il che non impedisce che gli stessi uomini, in piena lotta politica, sotto il colpo di una provocazione, dichiarino pubblicamente la loro fede. Quindi non resta altro da dire che vi sono due uomini in ogni membro del Sillon: l’individuo, che è cattolico; il membro del Sillon, l’uomo di azione, che è neutrale.

[33] Vi fu un tempo in cui il Sillon, in quanto tale, era formalmente cattolico. Relativamente alla forza morale, ne conosceva soltanto una, la forza cattolica, e andava proclamando che la democrazia sarebbe stata cattolica oppure non sarebbe stata. Venne un momento in cui cambiò parere. Lasciò a ciascuno la sua religione o la sua filosofia. Smise pure di qualificarsi cattolico e, alla formula: "la democrazia sarà cattolica", sostituì quell’altra: "la democrazia non sarà anticattolica", non più d’altronde che antiebraica o antibuddista. Fu l’epoca del più grande Sillon. Si chiamarono alla costruzione della città futura tutti gli operai di tutte le religioni e di tutte le sette. Si chiese loro unicamente di abbracciare lo stesso ideale sociale, di rispettare tutte le credenze e di portare un certo sostegno di forze morali. Certo, si proclamava, "i capi del Sillon mettono la loro fede religiosa al di sopra di tutto. Ma possono togliere agli altri il diritto di attingere la loro energia morale là dove possono? Al contrario, essi vogliono che gli altri rispettino il loro diritto di attingerla nella fede cattolica. Essi chiedono dunque a tutti quanti vogliono trasformare la società attuale nel senso della democrazia i non respingersi reciprocamente a causa delle convinzioni filosofiche o religiose che possono separarli, ma di camminare mano nella mano, non rinunciando alle loro convinzioni, ma cercando di fare sul terreno delle realtà pratiche la prova dell’eccellenza delle loro convinzioni personali. Forse su questo terreno dell’emulazione fra anime legate a differenti convinzioni religiose o filosofiche potrà realizzarsi l’unione" (9). E nello stesso tempo si dichiarò (come lo si poteva realizzare?) che il piccolo Sillon cattolico sarebbe stato l’anima gemella del grande Sillon cosmopolita.

[34] Di recente è scomparso il nome più grande Sillon, ed è comparsa una nuova organizzazione, senza modificare, anzi tutt’altro, lo spirito e la sostanza delle cose "per mettere ordine nel lavoro e per organizzare le diverse forze operative. Il Sillon resta sempre un’anima, uno spirito, che si mescolerà ai gruppi e ispirerà la loro attività". E tutti i raggruppamenti nuovi, divenuti apparentemente autonomi: cattolici, protestanti, liberi pensatori, sono pregati di mettersi all’opera. "I compagni cattolici lavoreranno fra loro in un’organizzazione speciale per istruirsi ed educarsi. I democratici protestanti e liberi pensatori faranno altrettanto da parte loro. Tutti, cattolici, protestanti e liberi pensatori avranno a cuore di armare la gioventù non per una lotta fratricida, ma per una generosa emulazione sul terreno delle virtù sociali e civiche" (10).

[35] Queste dichiarazioni e questa nuova organizzazione dell’azione del Sillon richiedono riflessioni assai gravi.

[36] Ecco, fondata da cattolici, un’associazione interconfessionale, per lavorare alla riforma della civiltà, opera in primo luogo religiosa: infatti non esiste vera civiltà senza civiltà morale, e nessuna civiltà morale senza la vera religione: è una verità dimostrata, si tratta di un fatto storico.

E i nuovi membri del Sillon non potranno addurre a pretesto che lavoreranno soltanto "sul terreno delle realtà pratiche" dove non ha importanza la diversità delle credenze. Il loro capo sente tanto bene l’influenza delle convinzioni dello spirito sul risultato dell’azione, che li invita, a qualsiasi religione essi appartengano, a "dare, sul terreno delle realtà pratiche, la prova dell’eccellenza delle loro convinzioni personali". E a ragione, perché le realizzazioni pratiche rivestono il carattere delle convinzioni religiose, come le membra di un corpo, fino alle ultime estremità, ricevono la forma dal principio vitale che lo anima.

[Organizzazioni che riuniranno tutte le religioni sulla base di una religione universale?]

[37] Detto questo, che cosa bisogna pensare della promiscuità in cui si troveranno coinvolti i giovani cattolici con eterodossi e con non credenti di ogni genere, in un’opera di questa natura? Per loro, non è mille volte più pericolosa di un’associazione neutrale? Che cosa dobbiamo pensare di questo appello a tutti gli eterodossi e a tutti i non credenti a provare l’eccellenza delle loro convinzioni sul terreno sociale, in uno speciale concorso apologetico, come se questo concorso non durasse da diciannove secoli, in condizioni meno pericolose per l fede dei fedeli e del tutto onorevoli per la Chiesa cattolica? Che cosa dobbiamo pensare di questo rispetto per tutti gli errori e della strana esortazione, fatta da un cattolico a tutti i dissidenti, a fortificare le loro convinzioni con lo studio e a farne sorgenti sempre più abbondanti di forze nuove? Che cosa dobbiamo pensare di un’associazione in cui tutte le religioni e perfino il "libero pensiero" possono manifestarsi apertamente, a loro piacimento? Infatti, i membri del Sillon che nelle conferenze pubbliche e altrove proclamano con fierezza la loro fede individuale, non hanno certamente intenzione di chiudere la bocca agli altri e d’impedire al protestante di affermare il suo protestantesimo e allo scettico il suo scetticismo. Infine, che cosa pensare di un cattolico che, entrando nel suo circolo di studio, lascia il suo cattolicesimo fuori dalla porta, per non spaventare i suoi compagni che "sognando un’azione sociale disinteressata, si rifiutano di farla servire al trionfo di interessi, di faziosità oppure di convinzioni, qualunque esse siano"? Tale è la professione di fede del nuovo comitato democratico di azione sociale, che ha ereditato la maggior parte del ruolo dell’organizzazione precedente, e che, esso stesso dice, "rompendo l’equivoco costruito intorno al più grande Sillon, tanto negli ambienti reazionari che negli ambienti anticlericali", è aperto a tutti gli uomini "rispettosi delle forze morali e religiose e convinti che non è possibile alcuna autentica emancipazione sociale senza il fermento di un generoso idealismo".

[38] Si, ahimé!, l’equivoco è rotto; l’azione sociale del Sillon non è più cattolica; il membro del Sillon, in quanto tale, non lavora per una fazione, e "la Chiesa - afferma - non saprebbe a nessun titolo beneficiare delle simpatie che la sua azione potrebbe suscitare". Insinuazione davvero strana! Si teme che la Chiesa approfitti dell’azione sociale del Sillon con uno scopo egoistico e interessato, come se tutto quanto favorisce la Chiesa non favorisse l’umanità! Strano capovolgimento delle idee: la beneficiaria dell’azione sociale sarebbe la Chiesa, come se i più grandi economisti non avessero riconosciuto e dimostrato che l’azione sociale, per essere seria e feconda, deve beneficiare della Chiesa. Ma sono ancor più strane, nello stesso tempo spaventose e rattristante, l’audacia e la leggerezza di spirito di uomini che si dicono cattolici, che sognano di rifare la società in simili condizioni e di stabilire sulla terra, al di sopra della Chiesa cattolica, "il regno della giustizia e dell’amore", con operai venuti da ogni parte, di tutte le religioni oppure senza religione, con o senza credenze, purché dimentichino quanto li divide, le loro convinzioni religiose e filosofiche, e mettano in comune quanto li unisce, un generosi idealismo e forze morali prese "dove possono". Quando si pensa a tutto quanto è necessario in forze, in scienza, in virtù soprannaturali per istituire la città cristiana, e alle sofferenze di milioni di martiri, e alle illuminazioni dei Padri e dei Dottori della Chiesa, e alla dedizione di tutti gli eroi della carità, e a una potente gerarchia nata dal Cielo, e ai fiumi di grazia divina, e il tutto edificato, collegato, compenetrato dalla Vita e dallo Spirito di Gesù Cristo, la Sapienza di Dio, il Verbo fatto uomo; quando si pensa, diciamo, a tutto questo, si è spaventati nel vedere nuovi apostoli intestardirsi a fare di meglio mettendo in comune un vago idealismo e virtù civiche. Che cosa produrranno? Che cosa sta per uscire da questa collaborazione? Una costruzione puramente verbale e chimerica, in cui si vedranno luccicare alla rinfusa e in una confusione seducente le parole di libertà, di giustizia, di fraternità e di amore, di uguaglianza e di umana esaltazione, il tutto basato su una dignità umana male intesa. Si tratterà di un’agitazione tumultuosa, sterile per il fine proposto e che avvantaggerà gli agitatori di masse meno utopisti. Sì, davvero si può dire che il Sillon scorta il socialismo, con l’occhio fisso su una chimera.

[39] Temiamo che vi sia ancora di peggio. Il risultato di questa promiscuità nel lavoro, il beneficiario di quest’azione sociale cosmopolitica, può essere soltanto una democrazia che non sarà né cattolica, né protestante, né ebraica; una religione (siccome il movimento del Sillon, i capi l’anno detto, è una religione) più universale della Chiesa cattolica, che riunirà tutti gli uomini divenuti finalmente fratelli e compagni, nel "regno di Dio". - "Non si lavora per la Chiesa: si lavora per l’umanità".

[40] E ora, pervasi dalla più viva tristezza, ci domandiamo, Venerabili Fratelli, che cos’è diventato il cattolicesimo del Sillon. Ahimé!, esso che, in altri tempidava tanto belle speranze, una tale fiume limpido e impetuoso è stato captato, nel suo corso, dai moderni nemici della Chiesa e d’ora innanzi forma solo un misero affluente del grande movimento di apostasia , organizzato, in tutti i paesi, per l’instaurazione di una Chiesa universale, che non avrà né dogmi, né gerarchia, né regole per lo spirito, né freno per le passioni, e che, con il pretesto della libertà e della dignità umana, ristabilirebbe nel mondo, qualora potesse trionfare, il regno legale dell’astuzia e della forza, e l’oppressione dei deboli, di quelli che soffrono e che lavorano.

[III. Giudizio complessivo ed esortazioni]

[Illuminismo e spirito della Rivoluzione]

[41] Conosciamo fin troppo le cupe officine, in cui si elaborano queste dottrine deleterie, che non dovrebbero sedurre spiriti chiaroveggenti. I capi del Sillon non hanno potuto difendersene; l’esaltazione dei loro sentimenti, la cieca bontà del loro cuore, il loro misticismo filosofico, mescolato con una componente illuministica, li hanno trascinati verso un nuovo vangelo, nel quale hanno creduto di vedere il vero Vangelo del Salvatore, al punto che osano trattare Nostro Signore gesù Cristo con una familiarità assolutamente irrispettosa e che, poiché il loro ideale è imparentato con quello della Rivoluzione, non temono di fare collegamenti blasfemi fra il Vangelo e la Rivoluzione, che non hanno la scusa di essere sfuggiti a qualche tumultuosa improvvisazione.

[Vangelo e società idealizzata]

[42] Vogliamo attirare la vostra attenzione, Venerabili Fratelli, su questa deformazione del Vangelo e del carattere sacro di Nostro Signore Gesù Cristo, Dio e Uomo, praticata nel Sillon e altrove. In altri ambienti è di moda, quando si tocca la questione sociale, mettere anzitutto da parte la Divinità di Gesù Cristo, e poi parlare soltanto della sua sovrana mansuetudine, della sua compassione per tutte le miserie umane, delle sue pressanti esortazioni all’amore del prossimo e alla fraternità. Certo, Gesù ci ha amati di un amore immenso, infinito, ed è venuto sulla terra a soffrire e a morire affinché, riuniti attorno a Lui nella giustizia e nell’amore, animati dai medesimi sentimenti di carità reciproca, tutti gli uomini vivano nella pace e nella felicità. Ma, per la realizzazione di questa felicità temporale ed eterna, Egli ha posto, con un’autorità sovrana, la condizione che si faccia parte del suo gregge, che si accetti la sua dottrina, che si pratichi la virtù e che ci si lasci ammaestrare e guidare da Pietro e dai suoi successori. Inoltre, se Gesù è stato buono con gli smarriti e con i peccatori, non ha rispettato le loro convinzioni erronee, per quanto sincere sembrassero; li ha tutti amati per istruirli, per convertirli e per salvarli. Se ha chiamato a Sé, per consolarli, quanti piangono e soffrono, non è stato per predicare loro l’invidia di un’uguaglianza chimerica. Se ha sollevato gli umili, non è stato per ispirare loro il sentimento di una dignità indipendente e ribelle all’ubbidienza. Se il suo Cuore traboccava di mansuetudine per le anime di buona volontà, ha saputo ugualmente armarsi di una santa indignazione contro i profanatori della casa di Dio, contro i miserabili che scandalizzano i piccoli, contro le autorità che opprimono il popolo sotto il carico di pesanti fardelli, senza muovere un dito per sollevarli. Egli è stato tanto forte quanto dolce; ha rimproverato, minacciato, castigato, sapendo e insegnandoci che spesso il timore è l’inizio della saggezza e che a volte conviene tagliare un membro per salvare il corpo. Infine, non ha annunciato per la società futura il regno di una felicità ideale, da cui sarebbe bandita la sofferenza; ma, con le sue lezioni e i suoi esempi, ha tracciato il cammino della felicità possibile sulla terra e della felicità perfetta in Cielo: la via regale della Croce. Sono insegnamenti che si avrebbe torto ad applicare soltanto alla vita individuale in vista della salvezza eterna; sono insegnamenti eminentemente sociali e ci mostrano in Nostro Signore Gesù Cristo una realtà ben diversa da un umanitarismo senza consistenza e senz’autorità.

[Il fondamento per la soluzione della questione sociale: l’adempimento dei doveri sociali e la giusta organizzazione della società secondo prospettive realistiche]

[43] Da parte vostra, Venerabili Fratelli, continuate attivamente l’opera del Salvatore degli uomini, con l’imitazione della sua dolcezza e della sua forza. Siate attenti a tutte le miserie; nessun dolore sfugga alla vostra sollecitudine pastorale, nessun lamento vi trovi indifferenti. Ma predicate anche coraggiosamente i loro doveri ai grandi e ai piccoli; spetta a voi formare la coscienza del popolo e dei pubblici poteri. La questione sociale sarà decisamente prossima alla soluzione quando gli uni e gli altri, meno esigenti sui loro reciproci diritti, compiranno più precisamente i loro doveri.

[44] Inoltre, come nel conflitto degli interessi, e soprattutto nella lotta con forze disoneste, la virtù di un uomo, la sua stessa santità non è sempre sufficiente per garantirgli il pane quotidiano, e i meccanismi sociali dovrebbero essere organizzati in modo tale che, con la loro attività naturale, paralizzino gli sforzi dei cattivi e rendano accessibile a ogni buona volontà la sua parte legittima di felicità temporale, desideriamo vivamente che prendiate una parte attiva nell’organizzazione della società a questo fine. Per questo scopo poi, mentre i vostri sacerdoti si dedicheranno con ardore al lavoro della santificazione delle anime, della difesa della Chiesa, e alle opere di carità propriamente dette, voi ne sceglierete alcuni, attivi e di spirito prudente, dotati della qualifica di dottore in filosofia e in teologia, e che possiedano perfettamente la storia della civiltà antica e moderna, e li applicherete agli studi meno elevati e più pratici della scienza sociale, per metterli, a tempo opportuno, alla testa delle vostre opere di azione cattolica. Tuttavia questi sacerdoti non si facciano deviare, nel dedalo delle opinioni contemporanee, dal miraggio di una falsa democrazia; non prendano a prestito della retorica dei peggiori nemici della Chiesa e del popolo un linguaggio enfatico, pieno di promesse tanto sonore quanto irrealizzabili. Abbiamo la convinzione che la questione sociale e la scienza sociale non sono nate ieri; che in ogni tempo la Chiesa e lo Stato, felicemente concertati, hanno suscitato a questo scopo organizzazioni feconde; che la Chiesa, che non ha mai tradito la felicità del popolo con alleanze compromissorie, non deve distaccarsi dal passato e che le basta riprendere con la collaborazione dei veri operai della restaurazione sociale, gli organismi infranti dalla Rivoluzione e adattarli, nel medesimo spirito cristiano che li ha ispirati, al nuovo ambiente creato dall’evoluzione materiale della società contemporanea: infatti i veri amici del popolo non sono né rivoluzionari, né novatori, ma tradizionalisti.

[45] A quest’opera sommamente degna del vostro zelo pastorale, desideriamo che la gioventù del Sillon, liberata dai suoi errori, lungi dal porvi ostacolo, vi apporti, nell’ordine e nella sottomissione convenienti un concorso leale ed efficace.

[Orientamenti per i membri del movimento del Sillon]

[46] Rivolgendoci dunque ai capi del Sillon con la fiducia di un Padre che parla ai suoi figli, chiediamo loro per il loro bene, per il bene della Chiesa e della Francia, di cedervi il loro posto. Certamente ci rendiamo conto della portata del sacrificio che sollecitiamo da loro, ma li sappiamo anche sufficientemente generosi da compierlo, e, anticipatamente, in nome del Nostro Signore Gesù Cristo, di cui siamo l’indegno rappresentante, per questo li benediciamo. Quanto ai membri del Sillon, vogliamo che si organizzino per diocesi allo scopo di lavorare, sotto la direzione dei rispettivi vescovi, alla rigenerazione cristiana e cattolica del popolo, contemporaneamente al miglioramento della sua condizione. Per il momento, questi gruppi diocesani saranno indipendenti gli uni dagli altri; e allo scopo di sottolineare che hanno rotto con gli errori del passato, prenderanno il nome di Sillon cattolici e ciascuno dei loro membri aggiungerà alla sua qualifica di "membro del Sillon" lo stesso aggettivo di cattolico. Resta indiscusso che ogni membro del Sillon cattolico conserverà la libertà di mantenere d’altra parte le sue preferenze politiche, epurate di tutto quanto no sia completamente conforme, in questa materia, alla dottrina della Chiesa. Se tuttavia, Venerabili Fratelli, dei gruppi rifiutassero di sottomettersi a queste condizioni, dovreste considerarvi, per questo, in stato di rifiuto di sottomettersi alla vostra direzione; e, allora, vi sarebbe da esaminare se essi si limitano alla politica o all’economia pura, o se perseverano nei loro vecchi sbandamenti. Nel primo caso, è chiaro che non dovreste occuparvene più che dei comuni fedeli; nel secondo, dovreste agire di conseguenza, con prudenza, ma con fermezza. I sacerdoti dovranno mantenersi completamente al di fuori dei gruppi dissidenti e si limiteranno a fornire il soccorso del santo ministero individualmente ai loro membri, applicando loro al tribunale della Penitenza le regole comuni della morale relativamente alla dottrina e alla condotta. Quanto ai gruppi cattolici, i sacerdoti e i seminaristi, pur favorendoli e assecondandoli, si asterranno dall’aderirvi come membri, perché è giusto che la milizia sacerdotale resti al di sopra delle associazioni laiche, anche le più utili e animate dallo spirito migliore.

[Conclusione]
[47] Tali sono le misure pratiche, con le quali abbiamo creduto necessario sanzionare questa lettera sul Sillon e sui suoi aderenti. Voglia il Signore, e noi lo preghiamo dal fondo dell’anima, far comprendere a questi uomini e a questi giovani le gravi ragioni che l’hanno dettata, dia loro la docilità del cuore, e il coraggio di provare, di fronte alla Chiesa, la sincerità del loro fervore cattolico; e ispiri a voi, Venerabili Fratelli, per loro, che ormai sono vostri, i sentimenti di un affetto assolutamente paterno.

[48] In questa speranza, e per ottenere questi tanto desiderabili risultati, vi accordiamo di tutto cuore, come al vostro clero e al vostro popolo, la Benedizione Apostolica.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 25 agosto 1910, nell’anno ottavo del Nostro Pontificato

Pio X

Note:



(1) "[…] dispares tueatur ordines, sane proprios bene constitutae civitatis; eam denum humano convictui velit formam atque indolem esse, qualem Deus auctor indidit" (Leone XIII Enciclica Graves de communi [del 18-1-1901, in ASS, vol. XXXIII, p.387])



(2) "Hinc imperium penes plebem in civitate velint esse, ut, sublatis ordinum gradibus aequatisque civibus, ad bonorum etiam inter eos aequalitatem sit gressus" (ibidem): "Per questo vogliono che il potere nella città sia in mano al popolo, affinché, soppresse le classi sociali e livellati i cittadini, si apra fra loro la via anche all’uguaglianza dei beni"



(3) "Instaurare tutte le cose in Cristo" (Ef. 1, 10); l’espressione paolina fu assunta da Papa san Pio X come divisa del suo pontificato.



(4) "Immo recentiores perplures, eorum vestigiis ingredientes qui sibi superiore saculo philosophorum nomen inscripserunt, omnem inquiunt potestatem a populo sibi mandatam, et hac quidem lege, ut populi ipsius voluntate, a quo mandata est, revocari possit. Ab his vero dissentium catholici homines, qui jus imperandi a deo repetunt velut a naturali necessarioque principio" (Leone XIII, Enciclica Diuturnum illud, del 29-6-1881, in ASS, vol. XIV, p.4)



(5) Marc Sangnier, Discorso di Rouen, 1907



(6) "Interest autem attendere hoc loco, eos, qui reipublicae praefuturi sint, posse in quibusdam causis voluntate iudicioque deligi multitudinis, non adversante neque repugnante doctrina catholica. Quo sane delectu designatur princeps, non conferuntur iura principatus: neque mandatur imperium, sed statuitur a quo sit gerendum" (Leone XIII, Enciclica Diuturnun illud, cit., pp.4-5)



(7) Mt. 22,21



(8) "Quamobrem, salva iustitia, non prohibentur populi illud sibi genus comparare reipublicae, quod aut ipsorum ingenio, aut maiorum istitutis moribusque magis apte conveniat" (Leone XIII, Enciclica Diuturnum illud, cit., pp. 5)



(9) Marc Sangnier, Discorso di Rouen, 1907



(10) Marc Sangnier, Parigi, maggio 1910

lunedì 23 agosto 2010

Caro Cardo Salutis (Tertulliano, De resurrectione mortuorum VIII, 6-7)

Catechismo Tridentino

PARTE PRIMA: LA FEDE E IL SUO SIMBOLO

ARTICOLO UNDICESIMO

La risurrezione della carne



128. Significato dell'articolo

Che questo articolo abbia molto valore per rafforzare la verità della nostra fede è ben chiaro dal fatto che è non solo proposto ai fedeli dalle sacre Scritture perché lo credano, ma viene anche confermato con molti argomenti. Questo raramente accade per gli altri articoli del Simbolo; si può quindi comprendere come su di esso poggi la speranza della nostra salvezza, come su solidissimo fondamento. Infatti, argomenta l'Apostolo, "se non vi è la resurrezione dei morti, neppure Cristo è risorto; e se Cristo non è risorto, è inutile la nostra predicazione, come inutile è la vostra fede" (1Co 15,14). Nello spiegarlo dunque il Parroco non porrà minore impegno di quanto si affaticarono molti empi nel distruggerlo. Sarà dimostrato fra poco come dalla sua conoscenza ridondino a vantaggio dei fedeli grandi e segnalate utilità.

129. Perché si dice: "la risurrezione della carne"

Si dovrà osservare innanzi tutto, che la resurrezione degli uomini in questo articolo è detta resurrezione della carne. Ciò non è stato fatto senza ragione; poiché gli apostoli vollero insegnare cosi una verità, che è necessario ammettere: l'immortalità dell'anima. E, perché nessuno credesse che l'anima muore col corpo, e fossero poi entrambi richiamati alla vita, mentre da moltissimi luoghi delle sacre Scritture l'anima risulta certamente immortale, nell'articolo si fa menzione solamente della resurrezione della carne. E sebbene spesso, anche nelle sacre Scritture, la parola carne significhi tutto l'uomo, - come per esempio in Isaia: ogni carne è come fieno (Is 40,6), e in san Giovanni: il Verbo si fece carne (Jn 1,14) - tuttavia in questo luogo essa significa il corpo, per farci comprendere che delle due parti, anima e corpo, di cui è composto l'uomo, la seconda sola, cioè il corpo, si corrompe e ritorna nella polvere della terra, dalla quale fu tratto; mentre l'anima rimane incorrotta. Ma poiché nessuno è richiamato alla vita, se prima non sia morto, dell'anima non si può dire propriamente che risorge.

Si fa menzione della carne anche per confutare l'eresia propagata da Imeneo e Fileto (2Tm 2,17), mentre ancora viveva l'Apostolo. Costoro asserivano che la resurrezione, menzionata nelle sacre Scritture, non è la corporea, ma la spirituale, per la quale si risorge dalla morte del peccato alla vita della grazia. Con le parole dell'articolo evidentemente si esclude quell'errore e si conferma la resurrezione del corpo.

130. La risurrezione dello carne si deve illustrare con le Scritture

Sarà cura del Parroco illustrare questa verità con esempi tolti dal vecchio e nuovo Testamento, e da tutta la storia ecclesiastica. Vi furono infatti dei richiamati a vita da Elia (3 Re, 17,22) e da Eliseo (4 Re, 4,34) nell'antico Testamento; oltre quelli che risuscito da morte nostro signore Gesù Cristo (Mt 9,25), alcuni furono risuscitati dai santi apostoli (Ac 9,40) e da altri moltissimi. Ora queste resurrezioni confermano l'insegnamento dell'articolo. Come infatti crediamo che molti furono risuscitati da morte, cosi deve credersi che tutti saremo richiamati alla vita. Anzi il miglior frutto che dobbiamo ricavare da questi miracoli è appunto di credere con la fede più grande questo articolo.

Sono molti i testi di cui i Parroci, che posseggano una conoscenza pur mediocre delle sacre Scritture potranno servirsi. I più notevoli sono nell'antico Testamento; e si possono leggere: in Gb dove dice che egli, nella sua carne, vedrà il suo Dio (XIX,25); in Daniele, dove parla di quelli che dormono nella polvere della terra, per svegliarsi, altri alla vita eterna, altri all'eterno obbrobrio (12,2). Nel nuovo Testamento poi abbiamo quel che san Matteo riferisce circa la disputa che ebbe il Signore con i Sadducei (Mt 22,23); e quello che narrano gli evangelisti intorno all'ultimo giudizio (Mt 25,31). Si aggiunga anche quel che espone con tanta acutezza l'Apostolo, scrivendo ai fedeli di Corinto e di Tessalonica (1Co 15,12 1Th 4,13).

131. Utilità degli esempi

Ma sebbene questa verità sia certissima per fede, gioverà molto mostrare, con esempi e con ragionamenti, che quanto la fede propone a credere, non è contrario alla natura e alla ragione umana. Difatti l'Apostolo cosi risponde a chi domandi come possano risorgere i morti: O sciocco, quel che tu stesso semini, non nasce se prima non muore. E seminandolo, non semini il corpo che nascerà, ma un semplice chicco, per esempio di grano o di altro genere. Dio poi gli da il corpo come vuole. E poco dopo dice: Si semina nella corruzione, risorgerà nella incorruzione (1Co 15,36 1Co 15,38 1Co 15,42). A questa similitudine san Gregorio mostra che se ne possono aggiungere molte altre. La luce, egli scrisse, ogni giorno sparisce dai nostri occhi come se morisse, e ritorna di nuovo come se risorgesse; gli alberi perdono il verde, e di nuovo lo riacquistano, come se risorgessero; i semi muoiono imputridendo, e risorgono di nuovo germinando (Gregor. Moral. 14,55).

132. Si deve dimostrare con argomenti

Anche le ragioni che vengono addotte dagli scrittori ecclesiastici possono essere adatte a provare questa verità. In primo luogo, essendo l'anima immortale, e avendo una propensione naturale, come parte dell'uomo, al corpo umano, .si dovrà ritenere che non sia naturale per essa restare sempre divisa dal corpo. E poiché ciò che è contrario alla natura ed è violento non può durare a lungo, sembra ragionevole che si ricongiunga al corpo; ne segue che vi sarà la resurrezione dei corpi. Di questo argomento il nostro Salvatore si servi quando, disputando con i Sadducei, dall'immortalità delle anime dedusse la resurrezione dei corpi (Mt 22,32).

Secondo, Dio che è sommamente giusto, ha apparecchiato supplizi per i cattivi e premi per i buoni. Moltissimi pero muoiono senza aver scontato la pena, e più ancora senza aver ricevuto il premio delle loro virtù. Dunque le anime dovranno ricongiungersi necessariamente ai loro corpi, perché questi, di cui gli uomini si servono per peccare, ricevano il castigo o il premio delle loro azioni. Questo argomento è stato trattato con molta cura da san Giovanni Crisostomo in un'omelia al popolo di Antiochia (Om. I,9).

Ecco perché l'Apostolo, parlando della resurrezione, dice: Se per questa vita sola speriamo in Cristo, siamo i più miserabili degli uomini (1Co 15,19). Tali parole nessuno vorrà riferirle alla miseria dell'anima, che è immortale, e se anche i corpi non risorgessero, pure nella vita futura potrebbe godere la beatitudine; ma bisogna intenderle come riferite a tutto l'uomo. Se infatti al corpo non fossero dati i premi condegni per le sue pene, ne seguirebbe che coloro i quali, come gli apostoli, hanno sopportato nella vita tante disgrazie e travagli, sarebbero i più miseri dei mortali. La stessa cosa, ma molto più chiaramente, è insegnata da san Paolo con queste parole ai Tessalonicesi: Noi stessi ci gloriamo di voi nelle chiese di Dio, della vostra pazienza e fede in mezzo a tutte le persecuzioni e tribolazioni, da voi sopportate: indizio del giusto giudizio di Dio, perché siate ritenuti degni del regno di Dio, per cui anche patite. E giusto che Dio renda tribolazioni a coloro che vi affliggono; e a voi tribolati dia riposo con noi, all'apparire che farà dal cielo il Signore Gesù coi potenti suoi angeli, in un incendio di fiamme, per fare vendetta di coloro, che non han riconosciuto Dio, e non ubbidiscono al vangelo del Signore nostro Gesù Cristo (2Th 1,4-8).

Inoltre gli uomini, fintantoché l'anima è separata dal corpo, non possono raggiungere la felicità piena, ricolma di ogni bene. Infatti, come ogni parte separata dal tutto è imperfetta, cosi anche l'anima che non sia unita al corpo. Perciò ne segue che è necessaria la resurrezione dei corpi perché nulla manchi alla completa felicità dell'anima.
Con queste ragioni e con altre simili il Parroco potrà istruire i fedeli su questo articolo.

133. Tutti gli uomini risorgeranno

Sarà inoltre necessario spiegare, secondo la dottrina dell'Apostolo, quali debbano essere i risuscitati alla vita; poiché, scrivendo ai Corinti, egli dice: Come in Adamo tutti muoiono, cosi in Cristo tutti saranno vivificati (1Co 15,22). Prescindendo dunque da qualsiasi differenza di buoni e cattivi, tutti, pur non avendo la stessa sorte, risorgeranno da morte: quanti fecero il bene, in resurrezione di vita; quanti fecero il male, in resurrezione di condanna (Jn 5,29).

Quando diciamo tutti, vogliamo indicare tanto quelli che al momento del giudizio saranno già morti, quanto quelli che moriranno. San Girolamo infatti scrive che la Chiesa ammette l'opinione che tutti dovranno morire, nessuno eccettuato; e che questa è più vicina al vero (Ep CXIX); la stessa opinione è anche quella di sant'Agostino (La città di Dio, 20,20). Né ad essa contraddice quel che l'Apostolo scrive ai Tessalonicesi: Quelli che morirono in Cristo, risorgeranno i primi; in seguito, noi che viviamo, che siamo rimasti, verremo rapiti nell'aria, insieme con quelli, incontro a Cristo (1Th 4,16). Sant'Ambrogio infatti spiegando questo passo, dice: Nello stesso rapimento verrà prima la morte come in un sopore, di modo che l'anima uscita ritorna in un attimo. Nell'essere sollevati moriranno, affinché giungendo presso il Signore, ricevano la vita per la presenza del Signore; perché col Signore non possono esserci morti (Sulla Ep 1 ad Th 4,16). Tale opinione viene approvata dall'autorità di sant'Agostino nella Città di Dio (loc. cit.).

134. Risorgerà il corpo di ciascuno

Ma poiché è molto importante la certezza che sia lo stesso e identico corpo di ciascuno di noi, quantunque corrotto e ridotto in polvere, a risuscitare alla vita, il Parroco deve accuratamente spiegarlo. Tale è il pensiero dell'Apostolo, quando dice: Quest'essere corruttibile deve rivestirsi di incorruzione (1Co 15,53); volendo manifestamente indicare col termine questo, il proprio corpo. Anche Giobbe profetizzo di esso in modo chiarissimo, dicendo: E nella carne mia vedrò il mio Dio; lo vedrò io stesso, i miei occhi lo mireranno, e non un altro (XIX,26). Ciò risulta dalla stessa definizione della resurrezione; infatti essa, secondo il Damasceno, è un richiamo a quello stato dal quale sei caduto (Della Fede ortod. 4,27).

Finalmente, se consideriamo la ragione già sopra indicata per cui avverrà la resurrezione, non ci può essere alcun dubbio in proposito. Dicemmo infatti che i corpi saranno resuscitati, affinché abbia ciascuno quel che è dovuto al suo corpo, secondo quel che opero, sia di bene, sia di male (2Co 5,10). L'uomo deve dunque necessariamente risorgere nello stesso corpo, con cui servi a Dio o al demonio, per ricevere col medesimo corpo le corone del trionfo e i premi, o per soffrire le pene e i supplizi.

135. Il corpo risorgerà integro

E non risorgerà solo il corpo; ma anche tutto ciò che è parte della sua vera natura, del decoro e ornamento dell'uomo, deve ritornare a lui. Abbiamo uno splendido argomento di sant'Agostino: Non vi sarà allora nei corpi ombra di difetto; se alcuni furono troppo obesi e grassi per la pinguedine, non prenderanno tutta la massa del corpo; ma quel che supererà la misura normale, sarà considerato superfluo. Al contrario, tutto quello che nel corpo sarà consumato da malattia o vecchiaia, sarà ridonato da Cristo per virtù divina, come a coloro che furono gracili per magrezza Cristo riparerà non solo il corpo, ma tutto quello che fu tolto dalla miseria di questa vita (La Città di Dio 22,19). Cosi in un altro luogo: Non riprenderà l'uomo i capelli che aveva, ma quelli che gli stavano bene, secondo il passo: " Tutti i capelli del vostro capo sono numerati "; essi devono ripararsi secondo la divina sapienza (ivi). Innanzi tutto ci saranno ridonate tutte le membra che fanno parte della completa natura umana. Chi dalla nascita sia stato privo degli occhi, o li abbia perduti per qualche malattia; gli zoppi, gli storpi e i minorati risorgeranno col corpo intero e perfetto; altrimenti non sarebbe soddisfatto il desiderio dell'anima, la quale tende all'unione col corpo. Tale desiderio tutti crediamo con certezza che debba essere appagato.

Inoltre è certo che la resurrezione, appunto come la creazione, va annoverata fra le migliori opere di Dio. Come dunque tutte le cose dal principio della creazione uscirono perfette dalle mani di Dio, cosi dovrà avvenire anche nella resurrezione. Né ciò si deve dire solo dei martiri, dei quali sant'Agostino afferma: Non saranno senza quelle membra: poiché la mutilazione non potrebbe non essere un difetto del corpo; altrimenti quelli che furono decapitati, dovrebbero risorgere senza la testa. Pero rimarranno nelle loro membra le cicatrici della spada, più risplendenti dell'oro e di qualsiasi pietra preziosa, come le cicatrici delle piaghe di Cristo (ivi). Ciò si afferma con verità anche dei cattivi, anche se le loro membra siano state amputate per una colpa personale; poiché l'acutezza del dolore sarà in ragione delle membra che essi avranno. Perciò una tale restituzione delle membra non ridonderà a loro felicità, ma a loro disgrazia e miseria, poiché i meriti non vengono attribuiti alle membra, bensì alla persona alla quale sono unite. A quelli che fecero penitenza saranno restituite per premio; a quelli invece che aborrirono la penitenza, per supplizio.

Se i Parroci considereranno attentamente tutto questo, non mancheranno loro i fatti e i pensieri, per muovere ed infiammare all'amore della religione gli animi dei fedeli, affinché considerando i fastidi e le afflizioni di quaggiù, dirigano i loro ardenti desideri verso la gloria beata della resurrezione, preparata per i giusti e per i pii.

136. Immortalità dei corpi risorti

Rimane ora da far comprendere ai fedeli che, sebbene per quanto ne costituisce la sostanza debba resuscitare l'identico corpo che ha subito la morte, il suo stato pero sarà molto differente. A parte infatti le altre circostanze in questo sta la differenza dei corpi resuscitati da quel che erano prima: mentre allora erano soggetti alle leggi della morte, dopo richiamati a vita, a prescindere dalle differenze tra buoni e cattivi, tutti saranno immortali. Questa meravigliosa reintegrazione della natura fu meritata dalla grande vittoria che Cristo riporto sulla morte; come ci insegnano le sacre Scritture. Sta scritto infatti: Egli precipiterà la morte in sempiterno (Is 25,8); e altrove: Sarò la tua morte, o morte (Os 13,14). Spiegando tali parole, l'Apostolo dice: La morte, l'ultima nemica, sarà distrutta (1Co 15,26). E in san Giovanni leggiamo: Da ora in poi non vi sarà più la morte (Ap 21,4).

Era molto conveniente che il peccato di Adamo fosse del tutto vinto per merito di Cristo nostro Signore, il quale distrusse l'impero della morte. E questo è anche conforme alla divina giustizia, perché i buoni potessero godere per sempre una vita beata; i cattivi invece, dovendo scontare pene eterne, pur cercando la morte, non la potessero trovare; desiderassero di morire, e la morte ostinatamente fuggisse loro (Ap 9,6). Questa immortalità sarà comune ai buoni e ai cattivi.

137. Doti dei corpi risorti

I corpi redivivi dei santi avranno fulgide e meravigliose facoltà, per le quali diverranno molto più nobili di quello che furono. Le più notevoli sono quelle quattro, che sono dette doti, e sono rilevate dai Padri, sulle orme dell'Apostolo.

La prima è l'impassibilità: dono e dote, la quale farà si che essi non possano soffrire niente di molesto, o essere colpiti da dolori o incomodi. Infatti non potranno ad essi nuocere né la violenza del freddo, né l'ardore del fuoco, né l'impeto delle acque. " Viene seminato ", dice l'Apostolo, " nella corruzione; risorgerà nella incorruzione " (1Co 15,42). Gli Scolastici la chiamarono impassibilità invece che incorruzione, per esprimere quel che è proprio del corpo glorioso; poiché i beati non hanno l'impassibilità in comune coi dannati, perché i corpi di questi, sebbene incorruttibili, possono partire caldo, freddo e ogni dolore.

Viene poi lo splendore, per il quale i corpi dei santi rifulgeranno come il sole. Lo attesta, in san Matteo, il nostro Salvatore: I giusti risplenderanno come il sole nel regno del loro Padre (13,43). E perché nessuno dubitasse di questa promessa, la confermo con l'esempio della sua trasfigurazione (Mt 17,2). Questa dote l'Apostolo la chiama ora gloria, ora splendore. Riformerà, dice, il corpo nostro umile, rassomigliandolo al corpo del suo splendore ((Ph 3,21); e di nuovo: E seminato nella miseria, sorgerà nella gloria (1Co 15,43). Di questa gloria vide una immagine il popolo d'Israele nel deserto, quando la faccia di Mosè, di ritorno dal colloquio avuto con Dio sul Sinai, risplendeva talmente, che i figli d'Israele non vi potevano fissare gli occhi (Ex 34,29). Questo splendore è un fulgore speciale che viene al corpo dalla somma felicità dell'anima, ed è come un riflesso della beatitudine di cui gode l'anima: come la stessa anima diventa beata, in quanto su di essa si posa una parte della felicità divina. Non si creda pero che tutti si abbelliscano di tal privilegio in ugual misura, come del primo; saranno, si, tutti egualmente impassibili i corpi dei santi, ma non avranno un uguale splendore; poiché, come assicura l'Apostolo, altro è lo splendore del sole, altro lo splendore della luna, e altro lo splendore delle stelle. Una stella infatti differisce dall'altra per lo splendore; cosi nella resurrezione dei morti (1Co 15,41).

A questa dote va congiunta quella che chiamano agilità, per cui il corpo sarà liberato dal peso, che ora l'affatica, e con grandissima facilità potrà muoversi verso quella parte dove l'anima vorrà, talmente che nulla potrà esservi di più celere di quel movimento, come insegnano apertamente sant'Agostino nella Città di Dio (XIII,18-20) e san Girolamo nel commento ad Isaia (cap. XL). Perciò l'Apostolo dice: Viene seminato nella debolezza, risorgerà nella forza (1Co 15,43).

 
A queste doti va aggiunta la sottilità o sottigliezza, la quale pone il corpo completamente sotto l'impero dell'anima cosi da servirla con immediatezza, come mostrano le parole dell'Apostolo: Si semina un corpo animale, risorgerà un corpo spirituale (1Co 15,44). Questi sono quasi tutti i punti principali da illustrare nella spiegazione dell'articolo.

138. Frutti salutari dell'articolo

Ma perché i fedeli sappiano quale frutto possono ricavare dalla conoscenza di si numerosi e grandi misteri, si dovrà prima inculcare che dobbiamo ringraziare Dio, il quale ha nascosto queste cose ai sapienti e le ha rivelate ai piccoli. Quanti uomini infatti, illustri per prudenza o per singolare dottrina, non furono completamente all'oscuro di questa verità cosi certa? L'averla dunque Dio manifestata a noi, che non potevamo aspirare a comprenderla, ci deve fare eternamente lodare la sua benignità e clemenza. Col meditare quest'articolo, coglieremo anche il grande frutto che, nella morte di quanti per natura o benevolenza furono a noi congiunti, potremo facilmente consolare sia gli altri che noi stessi; consolazione di cui si servi l'Apostolo scrivendo ai Tessalonicesi intorno ai defunti (1Th 4,13). Ma anche in tutti gli altri affanni e disgrazie, il pensiero della futura resurrezione ci darà gran sollievo nel dolore. Ricordiamo il santo Giobbe il quale sollevava l'animo afflitto e addolorato con questa sola speranza, che avrebbe finalmente potuto contemplare nella resurrezione Iddio suo signore (Gb 19,26s).

Oltre a ciò, questo pensiero sarà molto efficace nel persuadere i fedeli a mettere ogni diligenza nel menare una vita retta, integra, pura da ogni macchia di peccato. Se infatti penseranno che le immense ricchezze, successive alla resurrezione, sono preparate per loro, facilmente s'innamoreranno della virtù e della pietà. D'altro canto nessuna cosa potrà avere maggiore efficacia a sedare le passioni dell'animo e a ritrarre gli uomini dal peccato, che ammonirli spesso di quali mali e dolori saranno colpiti i cattivi, che nell'ultimo giorno andranno alla resurrezione del giudizio (Jn 5,29).