sabato 17 luglio 2010

preferire l'antica fede




"Quando il veleno ariano ebbe contaminato non una piccola regione ma il mondo intero, quasi tutti i vescovi latini cedettero all'eresia, alcuni costretti con la violenza, altri sedotti con la frode. Una specie di nebbia offuscò allora le menti, per cui non era possibile distinguere la via da seguire. Per essere al riparo da questa peste contagiosa il vero e fedele discepolo di Cristo dovette preferire l'antica fede  a queste false novità" 
                   (San Vincenzo da Lerino, Commonitorium)

venerdì 16 luglio 2010

torna la "Suprema"?

TORNA LA SUPREMA SACRA INQUISIZIONE ROMANA ED UNIVERSALE?

Il Papa lo aveva preannunciato nell’omelia per la Santa Messa di chiusura dell'Anno Sacerdotale, l’11 giugno scorso, con l’ormai celebre immagine del bastone dicendo che “il pastore ha bisogno del bastone contro le bestie selvatiche che vogliono irrompere tra il gregge; contro i briganti che cercano il loro bottino” e servendosi di quest’immagine aveva ricordato che “anche la Chiesa deve usare il bastone del pastore, il bastone col quale protegge la fede contro i falsificatori” per non lasciare “proliferare l’eresia, il travisamento e il disfacimento della fede”. Ci si augurava che si annunciassero così tempi duri per l'eresia. Il Papa è stato di parola e con le nuove norme in materia di tutela dei sacramenti e “de gravioribus delictis” sembra confermata il disegno di affidare alla Congregazione per la Dottrina della Fede il ruolo che già ebbe per molti anni fino alle riforme di Paolo VI “Regimini Ecclesiae Universae” (1967) e di Giovanni Paolo II “Pastor bonus” (1988) quando quello che fu il dicastero principale della Curia romana si vide “superato” dalla Segreteria di Stato. La Fede nell’ambito della complessa macchina curiale doveva sottostare alla Politica di cui la Segreteria di Stato era ed è direttamente competente. Questo rovesciamento della gerarchia dei valori ecclesiali paradossalmente fu fatto in un primo tempo nell’anno della Fede e fu poi perfezionato dalla Costituzione Pastor bonus nell’anno mariano. Ora sembra che nessuno volesse prendere in mano la patata bollente degli abusi e fu così che nel 2001 venne investita di tale pesante fardello la Congregazione per la Dottrina della Fede.  Dietro c’era un disegno provvidenziale volto al recupero della originaria natura di “tribunale supremo” dell’ex Sant’Uffizio (Sacra Congregazione della Romana e Universale Inquisizione). I giornali hanno posto l’accento su una maggiore severità circa la pedofilia. E va bene. Ma la vera notizia è che la Congregazione per la Dottrina della Fede (ex Santo Uffizio), riceve così poteri inquisitori non circoscritti da nessun privilegio (nemmeno cardinalizio) circa il delitto di pedofilia, ma anche circa «i delitti contro la fede (cioè eresia, apostasia e scisma)».
Giovanni XXIII sintetizzò così lo spirito dei tempi nuovi: «Quanto al tempo presente, la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore; pensa che si debba andare incontro alle necessità odierne, esponendo più chiaramente il valore del suo insegnamento piuttosto che condannando». Per fortuna fu messo quell’inciso “quanto al tempo presente”, ora quel tempo sembra davvero finito come pure l’illusione che sembrava postulare una sospensione dello stato postlapsario e che il Papa sintetizzò in questi termini “non perché manchino dottrine false, opinioni, pericoli da cui premunirsi e da avversare; ma perché tutte quante contrastano così apertamente con i retti principi dell’onestà, ed hanno prodotto frutti così letali che oggi gli uomini sembrano cominciare spontaneamente a riprovarle”.

P.S. Il Card. Ottaviani commentò così il ridimensionamento e la soppressione del titolo di "Suprema S. Congregazione": "Ricordatevi, questo è un giorno nero per la storia della Chiesa perché non si tratta di forma, di titoli, bensì di sostanza. Infatti, finora il supremo principio di governo della Chiesa era la dottrina rivelata, la cui custodia e retta interpretazione nella Chiesa è affidata in primo luogo al Papa, che si serviva di questa Congregazione, la quale perciò era "Suprema". Ora non so quale sarà il criterio ispiratore per il governo della Chiesa, ma temo che prevarrà quello diplomatico e contingente. Prevedo che la Chiesa subirà molti danni, ma poiché è assistita dallo Spirito, prima o poi si riprenderà il criterio di governo che si ispira alla Rivelazione e ai suoi contenuti essenziali".


giovedì 15 luglio 2010

Mons. Fellay: si prevede un aumento di persecuzione contro ogni e qualunque movimento di restaurazione nei prossimi anni

Mons. Fellay, Superiore della Fraternità San Pio X, pochi giorni fa (il 9 luglio) ha tenuto un'interessantissima conferenza a Bahia (Brasile) nella quale ha riferito della situazione attuale nella Chiesa.

Ecco comunque alcuni dei punti salienti della conferenza. Il discorso inizia con un excursus generale sugli ultimi cinquant'anni, sul Concilio, sulla promessa che il card. Tisserant fece a Metz agli ortodossi russi che al Concilio non si sarebbe parlato del comunismo (accordo che fu reso pubblico già all'epoca dal quotidiano comunista francese); parla di Henri De Lubac, condannato negli anni Cinquanta e poi diventato esperto al Concilio e infine cardinale, e così via.

Riferisce quindi della situazione attuale: cita ad esempio quanto dichiarato dal Cancelliere della diocesi di Treviri (Germania): l'80% dei sacerdoti (dei sacerdoti!) non credono alla presenza reale. Cita anche la situazione disperata del clero europeo, che entra in estinzione accelerata: ci sono alcune diocesi in Francia, come quella di Langres, dove ogni prete deve mandare avanti più di 60 parrocchie in media. Quest'anno in Francia il numero di nuovi preti è inferiore al numero di diocesi. È sconcertante, ha aggiunto.

Negli Stati Uniti, il numero di religiosi è diminuito del 90%: dove prima erano in dieci, ne resta uno solo.

Poi mons. Fellay passa ad esaminare la posizione del Papa. Segnaliamo questa sua definizione su Benedetto XVI: "Il Papa è un uomo con la testa progressista, ma col cuore cattolico, amante della tradizione," ha detto.

Con riguardo agli ostacoli nella Santa sede, c'è resistenza del Papa a tirare le conclusioni finali dei risultati del Concilio. Il tentativo di salvarlo a tutti i costi si evidenzia quando lo stesso in qualche modo relativizza documenti come il Sillabo o la Quanta cura, che sarebbe magistero circoscritto al suo periodo – il XIX secolo.

Con tutto ciò, tutti i passi che il Papa compie in direzione della Fede immutabile, della Tradizione e della Messa tradizionale sono realizzati in un contesto di estrema resistenza, a partire da settori vaticani come la Segreteria di Stato.

Ad esempio, i trappisti di Mariawald, benché autorizzati dal Santo Padre per tornare alla disciplina tradizionale e al rito di San Pio V, non lo sapevano e non ottenevano risposta, perché la Segreteria di Stato aveva archiviato l'autorizzazione papale. Fu necessario per sbloccare la situazione che fosse fatta una nuova domanda e fosse consegnata direttamente nelle mani del Santo Padre da un prelato di fiducia, che si è sentito dire dal Papa che aveva già dato da tempo l'autorizzazione.

L'opposizione è forte anche negli episcopati in tutto il mondo, "i vescovi fanno la guerra alla Messa tradizionale", anche se ci sono alcuni vescovi e sacerdoti onesti. La Curia romana è anche popolata da prelati ben disposti e si celebrano più o meno 20 messe tradizionali al giorno nella Basilica di S. Pietro, in generale in momenti discreti, dai segretari e da altri chierici vicini al Papa.

Benedetto XVI (e anche il suo segretario) celebra la Messa tridentina in forma privata in alcune circostanze, ma senza che ciò sia reso in alcun modo pubblico. Questa reticenza si spiega considerando ad esempio che, in una conferenza in Italia con 28 sacerdoti diocesani, uno di loro ha riferito di aver sentito dire dal suo vescovo che, il giorno in cui il Papa celebrasse la Messa tradizionale in pubblico, lascerebbe la Chiesa. Ed era chiaro che quel vescovo non è solo. C'è un ricatto episcopale contro il Papa.

Si prevede anche un aumento di persecuzione contro ogni e qualunque movimento di restaurazione nei prossimi anni e ciò coinciderà con l'uscita degli ultimi Vescovi co-partecipanti al Vaticano II, che tutto faranno per bloccare al massimo l'ondata di restaurazione che sempre più ha invaso la Chiesa.

Alla fine, in uno scenario drammatico, si avvererà la Speranza soprannaturale e la certezza che, attraverso la Santissima Vergine, Dio ricondurrà tutte le cose al loro posto
 
dal blog missainlatino

mercoledì 14 luglio 2010

per chi non avesse ancora capito ... quali sono le preoccupazioni del Papa

seconda parte

Come abbiamo gia detto, l'ha scritto con chiarezza cristallina nella memorabile lettera da lui indirizzata ai vescovi di tutto il mondo il 10 marzo del 2009:

"Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non a un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine (cfr. Gv 13, 1), in Gesù Cristo crocifisso e risorto”.

E l'ha ridetto con parole identiche sulla spianata del santuario di Fatima, la sera del 12 maggio di quest'anno, nel benedire le fiaccole prima della recita del rosario:

“Nel nostro tempo, in cui la fede in ampie regioni della terra rischia di spegnersi come una fiamma che non viene più alimentata, la priorità al di sopra di tutte è rendere Dio presente in questo mondo ed aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non a un dio qualsiasi, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore portato fino alla fine (cfr. Gv 13, 1), in Gesù Cristo crocifisso e risorto”.

ed ora dal blog Palazzo Apostolico veniamo a sapere:

Benedetto XVI ha scritto tre encicliche, una sociale e le altre due dedicate alle virtù teologali della carità e della speranza. Manca la fede. A questa nuova enciclica il Papa vuole lavorare questa estate. Almeno per mettere giù l’ossatura generale, l’indice e qualche bozza di testo. Non è un tema facile. Anche per Ratzinger, per anni prefetto dell’ex Sant’uffizio e dunque custode della fede contro le eresie e le devianze, il tema necessita di continue rivisitazioni. La prima, importante, fu quel “Rapporto sulla fede” scritto nel 1985 con Vittorio Messori. Oggi è attesa la seconda: un’enciclica in cui ritornare su un concetto chiave di tutto il pontificato in corso, la necessità di credere “nel modo giusto”. “Circolano dei facili slogan”, disse Ratzinger in “Rapporto sulla fede”. “Secondo uno di questi, ciò che oggi conta sarebbe solo l’ortoprassi, cioè il ‘comportarsi bene’, l’‘amare il prossimo’. Sarebbe invece secondaria, se non alienante, la preoccupazione per l’ortodossia e, cioè, il ‘credere in modo giusto’, secondo il senso vero della scrittura letta all’interno della tradizione viva della chiesa”. La tradizione viva della chiesa quale faro per credere correttamente. E’ questa tradizione, secondo chi in Vaticano ha una frequentazione non sporadica col Pontefice, una delle principali preoccupazione di Ratzinger.
 
Oremus pro Pontifice nostro Benedicto

apostolato moderno

La Messa "arancione" per propiziare la vittoria dell'Olanda (che, grazie a Dio, non c'è stata)

Non è possibile fare intendere a tutti le vie di Dio, e zelando la sua gloria sotto l'influsso dello Spirito Santo, si urta contro la mentalità di quelli che non sanno capire le vie della penitenza, dell'amore e dell'abnegazione, e vorrebbero un apostolato stilizzato sulle abitudini moderne, innocuo, per così dire, che sia più un occasione di divertimento che un sentirsi pressato a mutare completamente vita.
[Brano tratto dal libro “La Sacra Scrittura”, volume 21, “Atti degli Apostoli”, di Don Dolindo Ruotolo, Apostolato Stampa]

L'immancabile scambio della pace che nel rito "arancione" avviene da seduti, ma forse è la processione d'ingresso o forse il saluto finale prima della benedizione, o magari lo zelantissimo celebrante si sta complimentando per la bellissima preghiera dei fedeli composta dalla signora per propiziare la vittoria dell'Olanda (che, grazie a Dio, non c'è stata).
p.s. le bandierine con "olè olè" sono prescritte dal rito...

martedì 13 luglio 2010

verso una definizione infallibile del Papa Benedetto XVI?

Il sito catolicidad riporta alcuni aggiornamenti sulle riunioni di dialogo volute dal Papa tra la FSSPX e Roma e nello stesso tempo si chiede se si stia andando verso una definizione infallibile del Papa Benedetto XVI. Certo a questo punto della confusione che si è generata in questi ultimi decenni si sente come improrogabile una parola di tal rango magisteriale: «il Papa, anche "seorsim", è sempre in grado - per dirla con S. Bonaventura - di "reparare universa" perfino nel caso che "omnia destructa fuissent"» (Mons. Brunero Gherardini, Concilio Ecumenico Vaticano II, Un discorso da fare, Supplica al Santo Padre).  Anche il vaticanista Sandro Magister si addentra dettagliatamente nell'analisi di una tale ipotesi: Che dire? se son rose, fioriranno. Certo è che la Chiesa ha sete di chiarezza e di pace, e solo il Papa ce le può dare. Preghiamo dunque per il Papa!
Nel frattempo riproponiamo (e sottoscriviamo) la supplica di Mons. Gherardini



Supplica al Santo Padre

Beatissimo Padre,

so bene che questa comunicazione diretta è anomala e gliene chiedo scusa.
Il ricorrervi dipende anzitutto dalla fiducia che ispira la sua Persona e, in pari tempo, dall'aver Ella stessa raccomandato a tutta la Chiesa, come principio interpretativo del Vaticano II, l'ermeneutica della continuità, sulla quale, se me lo consente, vorrei brevemente parlarLe.

Fin ad oggi mi son sempre scrupolosamente guardato dall’interloquire con chi ha la responsabilità della Chiesa; ho, sì, richiesto qualche raro telegramma in particolari circostanze, ma nulla di più.
Anche il nostro personale rapporto all'interno del dibattito teologico è stato solo episodico; è mancata, per mia scelta, una reciproca frequentazione. Raramente infatti m'espongo, mai mi propongo.
Raccogliendo però il suo invito sull'ermeneutica della continuità, faccio oggi un'eccezione e sottopongo alla Santità Vostra alcune mie riflessioni a tale riguardo.

Per il bene della Chiesa - e più specificamente per l'attuazione della "salus animarum" che ne è la prima e "suprema lex" - dopo decenni di libera creatività esegetica, teologica, liturgica, storiografica e "pastorale" in nome del Concilio Ecumenico Vaticano II, a me pare urgente che si faccia un po' di chiarezza, rispondendo autorevolmente alla domanda sulla continuità di esso - non declamata, bensì dimostrata - con gli altri Concili e sulla sua fedeltà alla Tradizione da sempre in vigore nella Chiesa.
Non so se questo scritto perverrà nelle mani della Santità Vostra, né se vi perverrà così com'è stato concepito e come il benemerito Editore l’ha tipograficamente realizzato, anziché in qualche sintesi d'ufficio che non ne metta in risalto le connessioni logiche.

Da parte mia, proprio queste connessioni ho collocato a supporto della presente supplica, dettata dalla mia profonda convinzione circa l'improrogabile necessità che il dettato conciliare venga preso in esame in tutta la sua complessità ed estensione. Sembra, infatti, difficile, se non addirittura impossibile, metter mano all'auspicata ermeneutica della continuità, se prima non si sia proceduto ad un'attenta e scientifica analisi dei singoli documenti, del loro insieme e d'ogni loro argomento, delle loro fonti immediate e remote, e si continui invece a parlarne solo ripetendone il contenuto o presentandolo come una novità assoluta.

Ho detto che un esame di tale e tanta portata trascende di gran lunga le possibilità operative d'una singola persona, non solo perché un medesimo argomento esige trattazioni su piani diversi - storico, patristico, giuridico, filosofico, liturgico, teologico, esegetico, sociologico, scientifico - ma anche perché ogni documento conciliare tocca decine e decine d'argomenti che solo i rispettivi specialisti son in grado di signoreggiare.

A ciò ripensando, da tempo era nata in me l’idea - che oso ora sottoporre alla Santità Vostra - d'una grandiosa e possibilmente definitiva mess’a punto sull'ultimo Concilio in ognuno dei suoi aspetti e contenuti. Pare, infatti, logico e doveroso che ogni suo aspetto e contenuto venga studiato in sé e contestualmente a tutti gli altri, con l'occhio fisso a tutte le fonti, e sotto la specifica angolatura del precedente Magistero ecclesiastico, solenne ed ordinario.

Da un così ampio ed ineccepibile lavoro scientifico, comparato con i risultati sicuri dell'attenzione critica al secolare Magistero della Chiesa, sarà poi possibile trarre argomento per una sicura ed obiettiva valutazione del Vaticano II in risposta alle seguenti - tra molte altre - domande:

1. Qual è la sua vera natura?

2. La sua pastoralità - di cui si dovrà autorevolmente precisare la nozione - in quale rapporto sta con il suo eventuale carattere dogmatico? Si concilia con esso? Lo presuppone? Lo contraddice? Lo ignora?

3. È proprio possibile definire dogmatico il Vaticano II? E quindi riferirsi ad esso come dogmatico? Fondare su di esso nuovi asserti teologici? In che senso? Con quali limiti?

4. È un "evento" nel senso dei professori bolognesi, che cioè rompe i collegamenti col passalo ed instaura un'era sotto ogni aspetto nuova?

Oppure tutto il passato rivive in esso "eodem sensu eademque sententia"?
È evidente che l'ermeneutica della rottura e quella della continuità dipendono dalle risposte che si daranno a tali domande. Ma se la conclusione scientifica dell'esame porterà all'ermeneutica della continuità come l'unica doverosa e possibile, sarà allora necessario dimostrare - al di là d'ogni declamatoria asseverazione - che la continuità è reale, e tale si manifesta, solo nell’identità dogmatica di fondo. Qualora questa, o in tutto o in parte, non risultasse scientificamente provata, sarebbe necessario dirlo con serenità e franchezza, in risposta all'esigenza di chiarezza sentita ed attesa da quasi mezzo secolo.

La Santità Vostra mi chiederà perché mai dica a Lei ciò che Ella già conosce meglio di me, avendone chiaramente e coraggiosamente già parlato. In fondo, me lo chiedo anch'io, un po' meravigliato per il mio ardire e dispiaciuto per il tempo che Le sottraggo. Vedo, però, nel mio ardire un atto insieme di "parresìa" e di coerenza, in linea con l'ecclesiologia che i miei grandi Maestri avevan appreso dalla Parola rivelata, dalla patristica e dal Magistero e che - "quasi in insipientia loquor" (2Cr 11,17) - anch'io ho avuto l'onore e la gioia di ritrasmetter a migliaia d'alunni.

È l'ecclesiologia che nella Chiesa una-santa-cattolica-apostolica riconosce la presenza misterica del Signore Nostro Gesù Cristo e secondo la quale il Papa, anche "seorsim", è sempre in grado - per dirla con S. Bonaventura - di "reparare universa" perfino nel caso che "omnia destructa fuissent". Basta una sua parola, Beatissimo Padre, perché tutto, essendo essa stessa la Parola, ritorni nell'alveo della pacifica e luminosa e gioiosa professione dell'unica Fede nell'unica Chiesa.

Ho detto, strada facendo, che lo strumento per "reparare omnia" potrebb'esser un grande documento papale, destinato a rimanere nei secoli come il segno e la testimonianza del Suo vigile e responsabile esercizio del ministero petrino. Qualora, però, non volesse agire da solo, Ella potrebbe disporre che o qualche suo dicastero, o l'insieme delle Pontificie Università dell'Urbe, o un organismo unitario e di vastissima rappresentatività, assicurandosi la collaborazione di tutti i più prestigiosi, sicuri e riconosciuti specialisti in ognuno dei settori in cui s'articola il Vaticano II, organizzi una serie di congressi d'altissima qualità a Roma o altrove; o una serie di pubblicazioni su ognuno dei documenti conciliari e sulle singole tematiche di essi.

Si potrà in tal modo sapere se, in che senso e fin a che punto il Vaticano II, e soprattutto il postconcilio, possan interpretarsi nella linea d'un'indiscutibile continuità sia pur evolutiva, o se invece le sian estranei se non anche d'ostacolo.

Ringraziando in anticipo la Santità Vostra e rinnovandoLe sinceramente le mie scuse, Le auguro che la pienezza della grazia divina, la verità divinamente rivelata e la Tradizione dalla quale la rivelazione stessa è veicolata nell'alternarsi dei periodi e delle epoche della storia ecclesiastica, sian sempre la luce del Suo ministero. Mi benedica

Sac. Brunero Gherardini

lunedì 12 luglio 2010

l'arcivescovo sconfessa il drappellone interreligioso

Dopo le note polemiche circa il drappellone interreligioso (qui a fianco il drappellone del 2 luglio 2006) dell'ultimo Palio di Siena arriva ora una

Nota dell'Arcivescovo di Siena
circa il Palio Provenzano 2010
7 luglio 2010


In continuità con la tradizione, il Regolamento (1998) del Palio di Siena prescrive che nel Drappellone, quale ne sia il contenuto pittorico affidato alla Committenza e alla fantasia dell'Artista, sia sempre posta in alto l'immagine di Maria Santissima che si venera nella Chiesa di Provenzano (2 luglio) o quella dell'Assunta (16 agosto), proprio a sottolineare l'inscindibile secolare legame di Siena alla Vergine Maria.

A tale proposito ricordo come, già al mio arrivo a Siena nel giugno 2001, i Correttori delle Contrade e molti altri Senesi mi avevano esposto dure critiche per alcune raffigurazioni mariane del passato, interpretate troppo liberamente e senza alcun spirito religioso.

Una dura polemica è poi sorta nel 2002 in seguito ad uno sgradito Drappellone dipinto da Luigi Ontani che, se non si fosse rimediato con una correzione all'ultimo momento, sarebbe stato addirittura volgare e blasfemo. A causa di tale spiacevole esperienza, su precisa domanda, in una intervista di «Canale 3 Toscana» il 16 agosto successivo, rivendicai il diritto dell'Arcivescovo a non accogliere in Chiesa opere non rispettose dell'immagine mariana. Anche allora ne scaturì una diatriba nazionale quasi non avessi ancora il debito riguardo alle tradizioni del Palio. L'ironia della sorte ha voluto ora che con il Drappellone "interreligioso" di Alì Hassoun da più parti sia capitato quasi il contrario.

Per spiegare la reale situazione a qualche Senese e anzitutto ai non Senesi che mi hanno "inondato" di lettere rivolte a chiedermi una «guerra santa» come "uomo virile e non timoroso" (S. Caterina al Papa), è necessario precisare una volta per tutte :

- Il Drappellone è un dipinto su seta offerto dal Comune di Siena come ambito premio alla Contrada che vince la corsa. A norma del Regolamento è commissionato dall'Amministrazione Comunale che liberamente si serve di una Commissione giudicatrice che dovrebbe fare riferimento ai destinatari che è il Popolo delle Contrade, l'unico a poter aver voce a proposito.

- Dunque si tratta di un oggetto profano che viene trasportato nelle rispettive Chiese dove viene esposto assieme a tutte le bandiere delle Contrade, come segno di una festa che ha ancora profonde radici religiose. Non trattandosi di un'Immagine sacra esposta alla venerazione dei fedeli, la più recente (almeno credo) tradizione di "benedirlo" è da intendersi piuttosto come invocazione della Benedizione di Dio, per intercessione della Vergine Maria, sull'intero Popolo delle Contrade che celebrano le loro festività mariane, confermando di considerarsi ancora come «Sena vetus, Civitas Virginis», città della Vergine.

Venendo all'oggetto della recente disputa, preciso subito che il mio personale giudizio, anche se non è stato entusiasta come aveva riportato subito la stampa locale, ne ha riconosciuto immediatamente la gradevolezza del colore e della composizione, apprezzando in particolare il volto della Vergine Maria, "compassionevole" come si deve all'interpretazione della Madonna di Provenzano che è il venerato residuo di una Pietà semidistrutta.

Non ero stato in grado di vedere i simboli delle tre Religioni monoteiste sulla corona, e non avevo dato peso alla scritta in arabo avendo letto in precedenza una lunga intervista (credo non casuale) dell'autorevole «Osservatore Romano» in cui Hassoun precisava come l'arte "possa diventare strumento privilegiato per far convivere nel medesimo spazio culture ed espressioni diverse", dunque "un palio di dialogo, di pace, un atto d'amore per la festa e verso la città di Siena".

Solo successivamente ho potuto riflettere sull'equivocità del messaggio religioso che, pur al di là della buona intenzione dell'artista, ne poteva derivare per una comprensione relativista della fede. La Vergine Maria era ebrea ed è oggetto di venerazione anche per l'Islam, ma solo per noi Cristiani è Madre di Dio, avendo dato alla luce, per opera dello Spirito Santo, Gesù Cristo, il Figlio di Dio che con la sua morte e risurrezione ci ha salvato e redento, rivelandoci il volto del Padre, innalzandoci alla natura divina, facendoci suo Corpo vivente nella storia, in attesa dell'eternità che ci riempie di speranza.

Questa è una verità di fede che, pur restando un mistero, non può essere oggetto di dialogo interreligioso, dato che per i Cristiani è fondamento di significato della stessa vita umana. «Il fatto che il relativismo si presenti, all'insegna dell'incontro con le culture, come la vera filosofia dell'umanità, in grado di garantire la tolleranza e la democrazia, conduce a marginalizzare ulteriormente chi si ostina nella difesa dell'identità cristiana e nella sua pretesa di diffondere la verità universale e salvifica di Gesù Cristo» (card. Ratzinger).

Dopo queste considerazioni, mi dispiace concludere che l'effigie posta sul Drappellone di Hassoun, per i simboli aggiunti che la qualificano altrimenti, non rappresenta realmente la Madonna di Provenzano oggetto della devozione secolare senese, anche se è una significativa testimonianza di riverenza alla Vergine Maria, madre del Profeta Gesù, come citata nella sura 19 del Corano.

In tal senso mi permetto di suggerire rispettosamente alla Committenza di servirsi per il futuro di una consulenza adeguata ad evitare spiacevoli equivoci e polemiche dannose all'immagine di Siena e del Palio, nel rispetto dei contenuti della fede cristiana e della religiosità popolare che è la componente che ha permesso alla nostra festa di mantenersi sempre giovane evitando di ridursi ad un fatto folcloristico o ad un mero evento agonistico tra Contrade.

Arcivescovo Metropolita
Mons. Antonio Buoncristiani

domenica 11 luglio 2010

Anno 2010. Per la prima volta i preti ordinati dagli istituti missionari italiani sono tutti stranieri

Non abbiamo santi né eroi

Anno 2010. Per la prima volta i preti ordinati dagli istituti missionari italiani sono tutti stranieri. Per padre Gheddo la colpa non è solo della crisi della fede e della natalità

Ogni anno a giugno gli istituti missionari celebrano l’ordinazione sacerdotale dei loro diaconi e le destinazioni alle missioni. Quest’anno i quattro nati in Italia (Pime, Comboniani, Saveriani e Consolata) non hanno nessun sacerdote italiano – questo almeno mi risulta. Il Pontificio istituto missioni estere (Pime) ordina 11 sacerdoti, ma tutti stranieri: quattro brasiliani, tre indiani, tre birmani e uno della Guinea Bissau. Un amico comboniano mi ha detto che quest’anno hanno chiuso il loro noviziato europeo, che riceve giovani dai sette paesi del continente in cui l’istituto è presente. Il Pime, istituto non religioso (cioè senza i voti), è internazionale solo dal 1989, mentre altri istituti, da sempre internazionali, hanno un maggior numero di sacerdoti dalle missioni. Ma la situazione delle vocazioni missionarie italiane è più o meno uguale per tutti: sì e no un solo sacerdote all’anno, quando va bene.

Secondo i dati delle Pontificie opere missionarie, nel 1934 l’Italia aveva 4.013 missionari nei territori di missione, 7.713 nel 1943, 10.523 nel 1954. Nel 1965 la rivista Fede e Civiltà dei missionari saveriani (che attualmente esce come Missione Oggi) realizzò un’inchiesta da cui risultava che i missionari italiani in missione erano 10.708. Dopo il Concilio Vaticano II sono aumentati fino ai 16 mila del 1985. Un fatto straordinario, dovuto ai sacerdoti “fidei donum” (diocesani in missione), al volontariato laico nelle missioni e al fatto che molti istituti, congregazioni e ordini religiosi, soprattutto femminili, sono diventati missionari mentre non lo erano mezzo secolo prima. Altre Chiese d’Europa, tradizionalmente missionarie, hanno avuto una forte diminuzione. La Francia è passata da 22 mila missionari sul campo negli anni Sessanta a 11 mila, l’Olanda da 6 mila a 2 mila, la Germania da 14 mila a 6 mila, gli Stati Uniti da 15 mila a 7 mila, secondo statistiche del 1989. Oggi la situazione non è certo migliorata. Si calcola che gli italiani in missione siano circa 12 mila, ma «con i capelli sempre più grigi», come scrive Mondo e Missione in un “servizio speciale” dell’ottobre 2008 intitolato “Missionari in via di estinzione?”.

Titolo provocatorio quello scelto dal mensile del Pime, ma questa è la realtà. Dopo quasi sessant’anni nella stampa e nell’animazione missionaria in Italia, esprimo una mia convinzione. Le cause sono certo molte: crisi di fede e delle famiglie, ragion per cui mancano i giovani; crisi delle diocesi e delle parrocchie, dove si incontrano sempre più preti stranieri. Ma il crollo delle vocazioni missionarie dipende in gran parte dal fatto che la figura del missionario non attira più. Era affascinante fino a quarant’anni fa (Indro Montanelli mi diceva: «Voi missionari siete tutti eroi»), ma è molto decaduta nella cultura del nostro tempo e quasi scomparsa nei mass media d’oggi. Noi missionari e i nostri istituti abbiamo perso la nostra identità e il nostro fascino. Eravamo gli inviati della Chiesa per portare Cristo e il Vangelo ai popoli e fondare la Chiesa come negli Atti degli Apostoli. Questa era la nostra identità, l’immagine che avevamo noi giovani sognando di diventare missionari. Poi la missione è cambiata e il missionario ha perso l’aureola di eroe e di pioniere, oggi va a servire Chiese quasi ovunque già fondate. Tutto vero, ma è anche vero che i missionari sono sempre più richiesti dalle giovani Chiese e oggi acquistano in più l’immagine nuova di “ponte fra i popoli, le religioni e le culture”, che nel mondo globalizzato è capace di suscitare interesse e adesioni. Insomma, il missionario potrebbe diventare una figura sempre più attuale, se solo noi missionari mantenessimo, in Italia (e più in genere in Occidente), la nostra identità, il nostro carisma, la nostra carica di entusiasmo evangelizzatore.

Invece l’immagine del missionario si è a poco a poco politicizzata e siamo finiti in una marmellata di buonismo che è diventato la cultura di base del popolo italiano. Sul campo, i missionari continuano il loro lavoro con spirito di sacrificio e fedeltà al carisma, in Italia l’immagine del missionario cambia e secondo me non rappresenta più la realtà. Nelle riviste missionarie di quarant’anni fa gli articoli sull’evangelizzazione dei popoli, le conversioni, i catecumeni, le novità delle giovani Chiese, l’annunzio di Cristo nelle diverse culture, la presentazione di figure di missionari erano alla base di ogni edizione. Si parlava spesso di vocazione missionaria a vita e ad gentes, proponendola in modo concreto ai giovani. Oggi, ci sono riviste “missionarie” che di missionario hanno poco o nulla; “centri culturali” di istituti missionari che organizzano molte conferenze, ma sui temi della missione alle genti quasi niente e sui missionari in carne e ossa nulla; librerie di istituti missionari, che si suppone vendano libri missionari, che in vetrina mettono tutt’altro; animatori missionari che parlano di “mondialità” e poco o nulla di “missione”; comunità di missionari che hanno perso l’entusiasmo della missione alle genti e la buona abitudine di parlare della loro vocazione, spiazzati dall’indifferenza del mondo moderno. E potrei continuare. È una deriva generalizzata della quale non incolpo nessuno, ma che ci ha fatto perdere la nostra identità.

Se la chiamata si perde nel caos


Sono convinto che non esista nella mentalità comune del popolo italiano una figura più incisiva e più universalmente accolta di quella del missionario e dell’ideale missionario. Ma noi, per timore di essere considerati “integralisti” e per malinteso senso del “dialogo”, non osiamo più parlare di conversioni a Cristo; mortifichiamo le esperienze missionarie sul campo; riduciamo la missione della Chiesa agli aiuti a lebbrosi e affamati; siamo “a servizio della Chiesa locale”, dimenticando però che questo servizio dovrebbe essere soprattutto volto ad animare missionariamente il gregge di Cristo; pensiamo di fare “animazione missionaria” facendo campagne nazionali contro chi produce e vende armi e su altri temi (battaglie positive, certo, ma non “animazione missionaria”). In passato, durante le solenni “veglie missionarie” alla vigilia della Giornata missionaria mondiale, si ascoltavano le testimonianze dei missionari sul campo, oggi invece in alcune “veglie missionarie”, organizzate da missionari e da “gruppi missionari”, si contesta la produzione delle armi e sono invitati a parlare gli esperti di questo tema. Ma è possibile che un giovane o una ragazza sentano la voce dello Spirito che li chiama a donare la loro vita alla missione se sono impegnati in marce di protesta come queste?

Piero Gheddo

La domanda è stata posta intelligentemente, le risposte rimangono un po' vaghe anche perchè non si ha il coraggio di affrontare la radice del problema che inevitabilmente condurrebbe ad un tabù del mondo ecclesiale odierno: il Concilio; anche perchè la crisi della fede, di cui si parla, è un fenomeno difficilmente imputabile alla sola malzia dei tempi. Dunque continuano le lamentazioni mentre le conversioni possono attendere.